
Nonostante la sua breve esistenza il SARS-CoV-2, manifestatosi per la prima volta a Wuhan nel Dicembre 2019, ha ormai causato una pandemia. Questo ha provocato una mobilitazione della comunità scientifica mondiale nella speranza di individuare, in attesa di una cura definitiva, la migliore strategia di gestione dei pazienti affetti da COVID-19. Una delle evidenze emerse sin da subito da questi studi è stata la stretta relazione tra il nuovo coronavirus e il sistema cardiovascolare, al centro di una review appena pubblicata su Nature Reviews Cardiology (1).
Il target del SARS-CoV-2 sono i recettori dell’angiotensina 2, i quali sono altamente espressi sia nel cuore che nei polmoni. Secondo gli autori questa potrebbe essere la causa dell’alta incidenza di lesioni del miocardio nei pazienti affetti da SARS-CoV-2. Infatti, la National Health Commission (NHC) della Repubblica Popolare Cinese ha messo in evidenza come l’11,8% delle persone decedute per SARS-CoV-2 che non presentavano patologie cardiovascolari (CVD) prima del contagio presentasse poi lesioni del miocardio ed elevati livelli di Troponina I (TnI) o fossero addirittura incorsi in un infarto del miocardio.
La causa di tali manifestazioni potrebbe essere legata all’insorgere, al progredire della malattia, della risposta infiammatoria sistemica e del sistema immunitario. I ricercatori, inoltre, ipotizzano altre due cause all’origine delle lesioni del miocardio: la tempesta di citochine risultante da una risposta sbilanciata da parte dei linfociti T helper 1 e 2 (Th1 e Th2) e la disfunzione respiratoria e l’ipossiemia causate dal SARS-CoV-2, che portano inevitabilmente a danni delle cellule cardiache. I dati sulla mortalità resi noti dalla NHC suggeriscono, inoltre, che i soggetti con determinate patologie pregresse sono quelli più a rischio di contrarre il virus. Le persone decedute presentavano le seguenti comorbilità: il 35% dei soggetti erano affetti da ipertensione mentre il 17% aveva storia di cardiopatie coronariche. Inoltre i dati della NHC hanno dimostrato che i pazienti con un’età superiore ai 60 anni avevano molti più sintomi sistemici e una polmonite interstiziale più severa rispetto a pazienti con un’età inferiore.
Alla luce di queste informazioni i ricercatori suggeriscono quindi di fare particolare attenzione alla somministrazione di antivirali ai pazienti COVID-19, in quanto potenzialmente in grado di aumentare il rischio di tossicità cardiaca. Esortano invece la somministrazione di cardioprotettori nei pazienti soggetti a sviluppare patologie cardiovascolari o a rivalutare il dosaggio efficace del farmaco nei pazienti che già presentavano tali patologie prima del contagio.
Il rischio che questo virus rappresenta per i pazienti affetti da patologie cardiovascolari è un tema affrontato anche da Francesco Bovenzi – Direttore della Struttura Complessa di Cardiologia dell’Ospedale San Luca di Lucca – in una recente intervista rilasciata per Cardioinfo. “Si viene sicuramente a generare un circolo vizioso che parte dall’infiammazione, con il rilascio di citochine ed altri mediatori in un contesto in cui c’è una ridotta capacità di ossigenazione del sangue, c’è carenza di ossigeno. C’è un super lavoro del cuore, con un aumento del suo metabolismo e della frequenza cardiaca che porta un ulteriore dispendio di energie, e soprattutto c’è un contesto di tono simpatico aumentato. Tutto questo facilita l’instabilità di placche e anche la facilità di eventi ischemici acuti”.
Nonostante questo stretto collegamento, in Italia quasi tutti gli ospedali stanno rispondendo prontamente all’emergenza, riuscendo a tutelare i pazienti cardiopatici e a fornire loro le cure necessarie. Come nel caso dell’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo che è già diventato un modello di riferimento per la gestione dell’emergenza legata al nuovo coronavirus. Michele Senni – Direttore della Cardiologia 1 – ci ha recentemente raccontato in un’intervista come viene gestita l’emergenza-urgenza dei pazienti di cardiologia: “Abbiamo creato per queste emergenze cardiologiche un fast track per cui il 118 porta il paziente, senza farlo passare dal pronto soccorso, direttamente in emodinamica, dove svolgiamo tutti gli esami”.
Nonostante queste best practices, come è noto in Italia si sta registrando una mortalità superiore (8,32%) rispetto alla popolazione cinese (4%). Secondo uno degli autori della review pubblicata da Natura Reviews Cardiology, Jin-Ying Zhang – Department of Cardiology, First Affiliated Hospital of Zhengzhou University, le cause di alla base di questo dato potrebbero essere tre: “Primo: ci sono molti pazienti con sintomatogia lieve per cui se non viene fatto loro il tampone non risultano come positivi al COVID-19: questo porta a registrare un tasso di mortalità più alto rispetto al numero di contagiati. Secondo: i pazienti potrebbero presentarsi in ospedale non prima di manifestare gravi complicazioni polmonari. Terzo: come risultato dall’analisi i pazienti con un’età media più alta hanno un rischio maggiore e l’Italia regista una popolazione mediamente più anziana rispetto alla Cina”.
Vasilica Manole
Bibliografia
1. Zheng YY, Ma YT, Zhang JY, et al. COVID-19 and the cardiovascular system. Nature review cardiology 2020; DOI https://doi.org/10.1038/s41569-020-0360-5