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Antipertensivi e COVID-19. Il Presidente SIIA: “Non sospendere i trattamenti”

By 25 Marzo 2020Aprile 1st, 2022No Comments
IntervisteSpeciali
Antipertensivi COVID-19

Nei giorni successivi all’esplosione dell’emergenza COVID-19 sono cominciate a circolare in rete notizie riguardanti una possibile relazione tra trattamenti antipertensivi (ACE-inibitori e sartani) e rischio di contrarre l’infezione da SARS-cov-2, con alcune fonti che suggerivano addirittura ai pazienti ipertesi di sospendere la terapia. Questo ha fatto sì che diverse società scientifiche emanassero dei comunicati in cui raccomandavano a questi soggetti di non seguire questa indicazione, al momento priva di evidenze scientifiche che la supportino.

Ma da dove nasce questa ipotesi? Lo abbiamo chiesto a Guido Grassi, Presidente della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA), tra le prime a esprimersi sulla questione. “Fondamentalmente salta fuori da due informazioni – spiega Grassi – una corretta e l’altra meno. La prima è che i farmaci che vengono utilizzati nella terapia dell’ipertensione e l’infezione da coronavirus condividono un punto di riferimento comune: il recettore ACE-2”. Evidenza, questa, che aveva portato alcuni ricercatori a ipotizzare che un’eccessiva espressione di questo recettore, causata dall’assunzione degli inibitori del sistema renina angiotensina, potesse favorire – o, secondo altri punti di vista, ostacolare – il contagio.

L’informazione non corretta, invece, riguarda la presunta incidenza più elevata di COVID-19 nei soggetti affetti da ipertensione. “Questo non dipende dal fatto che l’infezione colpisce il paziente iperteso – sottolinea il Presidente della SIIA – ma che colpisce il paziente anziano. E noi sappiamo benissimo che dopo i 65 anni la percentuale di soggetti affetti da ipertensione arteriosa aumenta progressivamente, fino ad arrivare a percentuali superiori al 60% nei soggetti oltre i 70 anni, a prescindere dal coronavirus”.

Anche per quanto riguarda il coinvolgimento del sistema renina angiotensina, tuttavia, al momento non esistono evidenze cliniche nell’uomo che associno, in termini sia positivi che negativi, l’assunzione di farmaci antipertensivi al COVID-19. “Non ci sono prove che il paziente iperteso debba sospendere queste terapie per il rischio di contrarre infezioni più gravi rispetto a quelle che si verificano nella popolazione non in terapia”.

Inoltre, una sospensione non motivata dei trattamenti può esporre i pazienti ipertesi a un rischio maggiore di incorrere in patologie gravi quali l’infarto miocardico, lo scompenso cardiaco, la morte improvvisa, l’ictus cerebrale e l’insufficienza renale. Ragione questa che ha spinto molte società scientifiche coinvolte nella gestione dell’ipertensione, sia nazionali che internazionali, a esprimersi contro questa scelta. Oltre alla SIIA, tra queste ci sono la Società Italiana di Cardiologia e la Società di Diabetologia, ma anche l’International Society of Hypertension, l’European Society of Hypertension, il Council of Hypertension dell’European Society of Cardiology, la Canadian Cardiovascular Society e la Canadian Heart Failure Society.

Ciò non significa, tuttavia, che l’ipotetica relazione tra trattamenti antipertensivi e COVID-19 non sia attualmente in fase di studio. “Sono in corso delle valutazioni, sia a livello italiano che europeo, per trovare conferma a quello che stiamo dicendo: cioè che non c’è un rischio aumentato di infezione da coronavirus o di complicanze associate in pazienti in terapia antipertensiva”, spiega il Presidente SIIA. “Crediamo che il metodo più corretto sia mettere a disposizione dei dati”.

Si muove in questa direzione un’iniziativa lanciata qualche giorno fa proprio dalla SIIA. La Società ha infatti avviato un’indagine conoscitiva per verificare l’impatto della terapia con inibitori del sistema renina angiotensina sull’insorgenza e la manifestazione clinica della malattia COVID19, chiedendo ai propri soci di compilare un questionario online utile a raccogliere informazioni sull’anamnesi farmacologica e l’evoluzione della patologia nei pazienti contagiati dal nuovo coronavirus. I risultati, tuttavia, non saranno disponibili prima di qualche settimana.

“L’ipertensione – conclude Grassi –  colpisce circa il 30% della popolazione generale, ma l’incidenza aumenta in modo marcato dopo i 65 anni. Quindi è stata ipotizzata un’associazione tra coronavirus e ipertensione quando in realtà è tra coronavirus ed età. Per adesso, quindi, la raccomandazione è di continuare la terapia antipertensiva, per far sì che una catastrofe non generi un’altra catastrofe”.

Fabio Ambrosino