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Amiloidosi cardiaca: un “problema emergente” della cardiologia

A cura di Fabio Ambrosino By 22 Dicembre 2020Dicembre 17th, 2021No Comments
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“Molto spesso nelle fasi iniziali della patologia i pazienti affetti da amiloidosi cardiaca presentano uno scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata. Ed è questo l’ambito in cui, come cardiologi, dobbiamo stare molto più attenti”. Queste parole di Stefano Perlini, responsabile del Centro per lo Studio e la Cura delle Amiloidosi Sistemiche dell’IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, ben sintetizzano le numerose presentazioni tenutesi nel corso dell’81esimo Congresso Nazionale della Società Italiana di Cardiologia sul tema dell’amiloidosi cardiaca.

Uno dei problemi principali, nell’ambito di questa patologia, è infatti quello della diagnosi tardiva. Un aspetto emerso chiaramente da un intervento di Marco Merlo, cardiologo dell’Ambulatorio dello Scompenso Cardiaco e Cardiomiopatie dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste, sull’evoluzione dell’epidemiologia di questa condizione: “Considerando tutti i sottogruppi, il tempo medio tra l’insorgenza dei sintomi e la diagnosi di amiloidosi cardiaca varia tra i 6 e i 30 mesi. Per quanto riguarda forma da transtiretina, ad esempio, meno del 50% dei pazienti riceve la diagnosi entro i 6 mesi dall’esordio”.

Amiloidosi cardiaca: una patologia rara?

In generale, quello della sottodiagnosi è un problema sempre più evidente nell’ambito di questa patologia, tradizionalmente considerata rara. Si stima infatti che in realtà circa il 15% dei pazienti con uno scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata presenti infiltrazioni di amiloide a livello miocardico. “Ma la prevalenza è persino maggiore – ha ricordato Marco Canepa, Professore Associato di Cardiologia dell’Università degli Studi di Genova – nei soggetti che presentano anche ipertrofia ventricolare o altre red flags”.

Analizzando i diversi interventi tenutisi sul tema nel corso del Congresso SIC si nota però una crescente consapevolezza dei cardiologi italiani nei confronti di questa patologia, da molti descritta come un “problema emergente” della pratica clinica. Sono state infatti presentate diverse indagini epidemiologiche i cui risultati mettono in evidenza un trend crescente nel numero di diagnosi. “In particolare – ha spiegato Merlo – questo aumento sembra essere trainato dai nuovi casi di amiloidosi cardiaca da transtiretina”. Un’ipotesi confermata anche da Marco Canepa: “La forma da transtiretina wild type sta rapidamente diventando la più comune nell’ambito dell’amiloidosi cardiaca”.

Amilodiosi cardiaca: l’importanza di conoscere le red flags

“Il problema è che nelle prime fasi l’amiloidosi cardiaca non si presenta con caratteristiche tipiche – ha spiegato Vincenzo Castiglione dell’UOC di Cardiologia e Medicina cardiovascolare della Fondazione Toscana “Gabriele Monasterio” di Pisa – ed è quindi necessario guardare alle red flags”. Queste sono rappresentate da segni diagnostici e indizi presenti nella storia clinica del paziente, i quali devono far sorgere il sospetto di amiloidosi. Tra questi, ad esempio, la discordanza tra voltaggi ECG e spessore del ventricolo sinistro all’ecocardiografia, la presenza di una diagnosi ortopedica come la sindrome del tunnel carpale o una stenosi spinale lombare e la presenza di disfunzioni del sistema nervoso.

Solo conoscendo questi indizi e andando ad analizzarli nel momento in cui ci sono delle incertezze nella diagnosi di un paziente con scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata, quindi, è possibile identificare tempestivamente questi pazienti e, grazie ai trattamenti disponibili, cambiare la storia della malattia. Secondo Merlo, tuttavia, ancora più opportuno sarebbe cambiare radicalmente l’approccio diagnostico nei confronti dell’amiloidosi cardiaca: “Invece di andare a verificare la presenza di red flags nei pazienti con scompenso cardiaco di dubbia eziologia dovremmo fare l’opposto – ha spiegato – e andare a verificare, nel momento in qualsiasi paziente presenta una delle red flags tipiche di questa malattia, l’eventuale presenza di amiloidosi”.

Fabio Ambrosino