
Nei soggetti cardiopatici l’uso di psicofarmaci è frequente e associato a un tasso di mortalità più elevato. È quanto emerge da uno studio pubblicato oggi sull’European Journal of Cardiovascular Nursing, i cui risultati mostrano tuttavia che l’effetto sulla mortalità potrebbe essere mediato, almeno in parte, dalla presenza stessa di un disturbo psichiatrico (1).
In passato diverse analisi avevano messo in evidenza un’associazione tra sintomi ansiosi e outcome di salute, mortalità inclusa, nei soggetti con patologie cardiovascolari (2,3). Quello pubblicato sull’European Journal of Cardiovascular Nursing aveva invece l’obiettivo di valutare il possible ruolo degli psicofarmaci in questa relazione. Sono stati presi in considerazione 12.913 pazienti, inclusi nell’indagine danese DenHeart, ospedalizzati per patologie cardiovascolari quali una coronaropatia ischemica, un’aritmia, uno scompenso cardiaco o una valvulopatia. A questi è stato somministrato, al momento delle dimissioni, un questionario relativo alla presenza di sintomi ansiosi. Le informazioni riguardanti i farmaci, invece, sono state ottenute attraverso registri nazionali. I pazienti cardiopatici sono stati classificati come utilizzatori di psicofarmaci nei casi in cui era presente almeno una prescrizione per benzodiazepine, simil-benzodiazepine, antidepressivi o antipsicotipici nei sei mesi precedenti l’ospedalizzazione.
Dai risultati è emerso che il 18% dei pazienti cardiopatici presi in esame aveva ricevuto almeno una prescrizione per psicofarmaci, soprattutto benzodiazepine (68%) e antidepressivi (55%). L’uso di questi farmaci è risultato più frequente nelle donne, nei pazienti più anziani, nei fumatori, nei vedovi, nei soggetti con un livello educativo più basso e in quelli con più comorbilità. In generale, la prevalenza d’uso di psicofarmaci è risultata pari al doppio nei soggetti cardiopatici classificabili come ansiosi, pari al 32% del totale, rispetto a quelli non ansiosi.
Il tasso di mortalità per tutte le cause a un anno è risultato significativamente più elevato nei soggetti che avevano ricevuto almeno una prescrizione rispetto a quelli che non l’avevano ricevuta (6% vs 2%), con un rischio di 1,90 volte maggiore controllando per età, sesso, diagnosi cardiaca, comorbilità, abitudine al fumo, indice di massa corporea, livello educativo e stato civile. La presenza di un disturbo d’ansia è invece risultata associata a un aumento del tasso di mortalità per tutte le cause a un anno di 1,81 volte.
Tuttavia – come sottolineato da Pernille Fevejle Cromhout, responsabile dello studio presso il Copenhagen University Hospital – quando i ricercatori hanno tenuto conto dell’uso di psicofarmaci precedente all’ospedalizzazione e della presenza di un disturbo d’ansia le associazioni sono diventate più deboli: 1,73 e 1,67, rispettivamente. “Tale indebolimento suggerisce che la relazione tra uso di psicofarmaci e mortalità è influenzata dalla presenza dell’ansia. E, viceversa, che quella tra ansia e mortalità è influenzata dall’uso di psicofarmaci. I pazienti cardiopatici che soffrono d’ansia dovrebbero informare chi fornisce loro assistenza, così come farebbero per qualsiasi altra condizione”.
Fabio Ambrosino
Bibliografia
1. Cromhout PF, Christensen AV, Jørgensen MB, et al. Exploring the use of psychotropic medication in cardiac patients with and without anxiety and its association with 1-year mortality. Eur J Cardiovasc Nurs. 2022. doi:10.1093/eurjcn/zvab111.
2. Watkins LL, Koch GG, Sherwood A, et al. Association of anxiety and depression with all-cause mortality in individuals with coronary heart disease. J Am Heart Assoc. 2013;2:e000068.
3. Berg SK, Rasmussen TB, Thrysoee L, et al. Mental health is a risk factor for poor outcomes in cardiac patients: findings from the national DenHeart survey. J Psychosom Res. 2018;112:66–72.