
I grandi studi di intervento hanno consentito di definire i livelli ottimali di colesterolo LDL (C-LDL) che dovrebbero essere raggiunti nei singoli pazienti al fine di ridurre in modo clinicamente rilevante il rischio di eventi CV avversi (1). In particolare, nei pazienti con rischio CV molto alto i valori di C-LDL dovrebbero essere ridotti al di sotto dei 70 mg/dl, mentre, in condizioni di alto rischio CV, il C-LDL dovrebbe ridursi almeno al di sotto di 100 mg/dl. Questi obiettivi terapeutici sono stati recepiti sia nelle raccomandazioni delle linee guida di prevenzione CV dell’European Society of Cardiology (1) che nelle indicazioni dell’Agenzia Italiana del farmaco – AIFA (2) (figure 1 e 2).

Figura 1 | Comparazione delle categorie di rischio tra nota 13 AIFA e linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) in ambito di prevenzione primaria (soggetti senza diabete mellito o manifestazione clinico-strumentali di malattia cardio-cerebro-vascolare aterosclerotica) e relativi obiettivi terapeutici.
Anche l’ultima versione (nota 13), pubblicata nel luglio 2014, infatti, raccomanda il raggiungimento e il mantenimento di valori di C-LDL inferiori a 70 mg/dl nei soggetti con rischio CV molto elevato ed almeno inferiori a 100 mg/dl nei soggetti con alto rischio CV. La nota 13 indica, inoltre, che, al fine di mantenere la necessaria appropriatezza terapeutica e non disperdere inutilmente preziose risorse del Servizio Sanitario Nazionale, l’intervento farmacologico ipolipemizzante deve raggiungere gli obiettivi lipidici previsti e mantenerli nel tempo. Solo in questo modo si potranno effettivamente ridurre gli eventi CV nelle popolazioni a rischio elevato e molto elevato.

Figura 2 | Comparazione delle categorie di rischio tra nota 13 AIFA e linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC) in ambito di prevenzione secondaria (soggetti con diabete mellito, malattia renale cronica o manifestazione clinico-strumentali di malattia cardio-cerebro-vascolare aterosclerotica) e relativi obiettivi terapeutici.
Nonostante le evidenze derivanti dai grandi studi clinici, le indicazioni delle Società Scientifiche e degli Enti regolatori, tuttavia, le informazioni disponibili mostrano chiaramente che nella pratica clinica viene fatto meno di quanto si dovrebbe per prevenire gli eventi CV avversi. Anche nel caso di pazienti caratterizzati da un rischio CV molto elevato, infatti, i trattamenti farmacologici ipocolesterolemizzanti raccomandati dalle linee guida sono utilizzati sorprendentemente meno del necessario. Inoltre, come dimostra il recentissimo studio EUROASPIRE V, meno del 30% dei pazienti con rischio CV molto elevato raggiunge l’obiettivo di un C-LDL inferiore a 70 mg/dl (3).
Il mancato raggiungimento degli obiettivi terapeutici di contenimento del C-LDL e del rischio CV deriva da un complesso intreccio di fattori legati al funzionamento del sistema sanitario nel suo insieme ed al comportamento dei singoli pazienti (4). Di fatto, la gestione clinica dell’ipercolesterolemia appare spesso inadeguata nella pratica clinica corrente, almeno in parte a causa dell’inerzia terapeutica dei medici. Questi, infatti, non sempre perseguono in modo efficace e coerente gli obiettivi terapeutici raccomandati nelle linee guida. Si deve poi sottolineare che alle difficoltà dei medici si possono sommare gli anomali ed inattesi comportamenti dei pazienti, che non rispettano le prescrizioni terapeutiche, tendono ad interrompere i trattamenti farmacologici oppure assumono i singoli medicamenti in modo irregolare e discontinuo (4).
Nella gran parte dei casi l’atteggiamento sfavorevole dei pazienti nei confronti dei farmaci è riconducibile soprattutto alla convinzione soggettiva che questi agenti chimici, mentre possono essere potenzialmente tossici, non siano realmente efficaci. La decisione del paziente dipende, in genere, da informazioni ambientali errate, da una mediocre qualità della comunicazione con il personale sanitario, ma anche dalla possibile comparsa di effetti collaterali. Questi ultimi, in particolare, possono essere frequenti in corso di terapia con statine e crescono per gravità al crescere delle dosi. E’ noto, infatti, che gli alti dosaggi di statine, ad esempio gli 80 mg di atorvastatina, vengono rapidamente interrotti dopo la prescrizione iniziale in oltre il 50% dei casi (5). Questo si verifica soprattutto per la comparsa di effetti collaterali di vario genere (56% dei casi), ma anche per la preoccupazione dei medici che temono possibili eventi avversi di rilievo (44% dei casi) (5). Più in generale la scelta della statina migliore e del dosaggio ottimale può non essere semplice nel singolo paziente e richiede particolare impegno da parte del medico, che deve necessariamente realizzare un compromesso tra efficacia e sicurezza.
L’associazione di rosuvastatina con ezetimibe garantisce la possibilità di una riduzione del C-LDL di entità maggiore rispetto a quella raggiungibile con qualsiasi altra terapia ipocolesterolemizzante convenzionale. Nessuna statina in monoterapia e nessuna associazione estemporanea o precostituita di statina ed ezetimibe possono, infatti, garantire un risultato analogo in termini di riduzione del C-LDL. Per tale motivo, l’uso dell’associazione rosuvastatina-ezetimibe si accompagna ad una maggiore probabilità di raggiungere gli obiettivi terapeutici raccomandati nelle linee guida (1). La rosuvastatina può, inoltre, consentire anche benefici accessori non trascurabili sulle altre componenti del profilo lipidico, come trigliceridi e C-HDL.
Un ulteriore aspetto in favore della scelta di un’associazione precostituita è rappresentato da suo innegabile impatto sull’aderenza terapeutica (6). L’aderenza terapeutica rappresenta una sfida quotidiana nella pratica clinica e un primo passo per contenere il problema è “semplificare” il più possibile la prescrizione terapeutica, utilizzando le combinazioni farmacologiche precostituite. In effetti, il numero delle compresse da assumere nella singola giornata risulta un potente fattore predittivo di mancata aderenza terapeutica. Nella pratica clinica l’aderenza terapeutica si riduce gradualmente con l’aumento del numero dei farmaci da assumere quotidianamente, riducendosi di oltre il 50% quando il numero supera le 5 pillole (6).
Bibliografia:
1. Catapano AL, Graham I, De Backer G, et al. 2016 ESC/EAS Guidelines for the Management of Dyslipidaemias. Eur Heart J. 2016;37:2999-3058.
2. Agenzia Italiana del Farmaco. Determina n. 617/2014 – GU Serie Generale n.156 del 8-7-2014.
3. De Backer G, Jankowski P, Kotseva K, et al. Management of dyslipidaemia in patients with coronary heart disease: Results from the ESC-EORP EUROASPIRE V survey in 27 countries. Atherosclerosis. 2019;285:135-146.
4. Faggiano P, Fattirolli F, Frisinghelli A, et al. Secondary prevention advices after cardiovascular index event: From drug prescription to risk factors control in real world practice. Monaldi Arch Chest Dis. 2019; 89(2).
5. Colivicchi F, Tubaro M, Santini M. Clinical implications of switching from intensive to moderate statin therapy after acute coronary syndromes. Int J Cardiol. 2011;152 :56-60.
6. Ambrosetti M, Elisabetta Angelino, Pompilio Faggiano, et al. L’aderenza globale al trattamento nel continuum della prevenzione cardiovascolare. G Ital Cardiol 2018;19(10 Suppl 3):41S-56S