
In ambito sanitario le misure di performance utilizzate per la valutazione delle strutture ospedaliere, come il tasso di riammissione a 30 giorni, non sono sempre rappresentative della reale qualità delle cure. Al contrario, in alcuni casi queste possono addirittura risultare ingannevoli. È questa la conclusione a cui è giunto un gruppo di ricercatori statunitensi che ha indagato la relazione tra il tasso di riammissione ospedaliera a 30 giorni (in seguito a insufficienza cardiaca) e una serie di outcome clinici. I risultati, presentati alle sessioni scientifiche dell’American Heart Association (AHA) 2016 e pubblicati sul Journal of American College of Cardiology: Heart failure, hanno evidenziato che a un basso indice di riammissioni ospedaliere non corrisponde necessariamente una migliore qualità delle cure.
Lo studio ha analizzato i dati provenienti dal programma dell’AHA Get the Guidelines-Heart Failure e relativi a 171 centri ospedalieri con un bacino di utenza totale di oltre 43.000 pazienti. Le strutture sono state divise in due gruppi in base al tasso di riammissioni a 30 giorni per insufficienza cardiaca, indicatore di qualità utilizzato dal Centers for Medicare and Medicaid Services (CMS) nell’ambito del progetto Readmissions Reduction Program per stabilire rimborsi ed eventuali sanzioni. I due gruppi (tasso di riammissione elevato vs. tasso di riammissione basso) sono stati messi a confronto in relazione a diverse misure di performance come l’utilizzo di ACE inibitori, sartani e beta bloccanti, la percentuale di “defect-free care”, la mortalità a un anno e il tasso di riammissione ospedaliera a un anno (per qualsiasi causa). I risultati ottenuti non hanno evidenziato differenze tra i due gruppi in termini di somministrazione di farmaci, percentuale di “defect-free care” e tasso di riammissione a un anno. Tuttavia, le strutture ospedaliere con i tassi minori di riammissione a 30 giorni sono risultate associate a una maggiore mortalità a un anno (vicina alla significatività statistica: P=0.07) rispetto alle strutture con un tasso più elevato.
Per quanto l’indice relativo alle riammissioni a 30 giorni sia ormai considerato un punto di riferimento nella valutazione dei centri ospedalieri, questi dati sono in linea con studi precedenti che avevano già evidenziato la scarsa efficacia di questo parametro. Ciononostante, facendo riferimento a questo indice il CMS ha già sanzionato il 64% degli ospedali statunitensi per un totale di 290 milioni di dollari di multe. Secondo gli autori dello studio il fallimento di questo parametro nel rappresentare la reale qualità delle cure offerte da un ospedale dipende da una serie di fattori relativi alle strutture stesse e ai pazienti che in queste vengono curati. Il tasso di riammissione a 30 giorni è infatti influenzato dalla percentuale di pazienti ad alto rischio compresa nel bacino d’utenza dell’ospedale e dallo stato socioeconomico della comunità di riferimento, ma anche dal livello di salute mentale dei pazienti, dalle loro possibilità in termini di supporto sociale e familiare e dalla gravità della loro patologia.
Per valutare la reale qualità di un ospedale, sostengono gli autori, bisognerebbe quindi “utilizzare misure comprensive della qualità delle cure e outcome clinici”. È inoltre fondamentale che questi parametri tengano conto di tutte quelle questioni di natura sociale che sono in grado di influenzare gli outcome a lungo termine. Per questo motivo, le policy relative alla valutazione della qualità in ambito ospedaliero dovrebbero essere per quanto possibile evidence-based, modificabili o integrabili sulla base dei risultati provenienti dagli studi che ne analizzano l’efficacia.
Fabio Ambrosino
▼ Pandey A, Golwala H, Xu H, et al. Association of 30 day readmission metric for heart failure under the hospital readmissions reduction program with quality of care and outcomes. JACC: Heart failure 2016; 4(12): 935 – 946.