
Una rapida ottimizzazione della terapia medica per lo scompenso cardiaco, entro le due settimane successive alle dimissioni, determina una riduzione del rischio di morte e ospedalizzazioni. Sono stati presentati nel corso dell’ultimo congresso dell’American Heart Association e pubblicati simultaneamente su Lancet i risultati del trial randomizzato STRONG-HF, il quale ha messo a confronto un approccio terapeutico ad alta intensità rispetto a quello standard (1).
Sono stati reclutati 1.078 pazienti ospedalizzati per uno scompenso cardiaco acuto in 14 Paesi di Africa, Europa, Medio Oriente e Sudamerica, i quali sono stati assegnati al gruppo sottoposto all’approccio ad alta intensità o a quello sottoposto all’approccio standard. Di questi, il 60% era di sesso maschile e il 77% di etnia caucasica. Il reclutamento non ha previsto limiti per quanto riguarda la frazione di eiezione, la quale era superiore al 40% in circa 1/3 dei casi.
L’approccio ad alta intensità, oggetto del trial, prevedeva la titolazione al 50% della massima dose raccomandata dalle linee guida prima delle dimissioni e al 100% entro le due settimane successive. I trattamenti considerati erano quelli raccomandati dalle linee guida sullo scompenso cardiaco al momento dell’inizio dello studio: beta-bloccanti, antialdosteronici e inibitori del sistema renina-angiotensina (ACE inibitori, bloccanti del recettore dell’angiotensina o ARNI). Lo studio, quindi, non fa riferimento all’utilizzo degli inibitori di SGLT2, entrati nello scenario terapeutico dello scompenso cardiaco in una fase successiva al suo inizio.
Il raggiungimento di una titolazione completa alle dosi raccomandate è risultato più frequente nel gruppo sperimentale: 55% vs 2% per gli inibitori del sistema renina-angiotensina, 49% vs 4% per i beta-bloccanti e 84% vs 46% per gli antialdosteronici. L’endpoint primario dello studio, costituito da mortalità per ogni causa o ospedalizzazione per scompenso cardiaco a sei mesi dalle dimissioni, si è verificato nel 15,2% dei pazienti sottoposti a un approccio ad alta intensità e nel 23,3% di quelli sottoposti all’approccio standard (P = 0,0021). I soggetti trattati secondo l’approccio ad alta intensità, inoltre, hanno mostrato un miglioramento significativo della qualità di vita rispetto a quelli trattati secondo l’approccio standard (P < 0,0001).
In generale gli eventi avversi correlati al trattamento sono stati più frequenti nel gruppo sperimentale (41% vs 29%) ma non sono emerse differenze per quanto riguarda gli eventi gravi (16% vs 17%) e fatali (5% vs 6%). Tale profilo di sicurezza, tuttavia, potrebbe dipendere anche dal rigoroso monitoraggio ai quali erano sottoposti i pazienti coinvolti nello studio, con frequenti visite di controllo e titolazione guidata da segni clinici e livelli di peptidi natriuretici. Inoltre, l’età media dei soggetti reclutati era di 63 anni, inferiore rispetto alla popolazione che solitamente va incontro a un’ospedalizzazione per scompenso cardiaco.
Bibliografia:
1. Mebazaa A, Davison B, Chioncel O, et al. Safety, tolerability and efficacy of up-titration of guideline-directed medical therapies for acute heart failure (STRONG-HF): a multinational, open-label, randomised, trial. Lancet 2022; DOI:https://doi.org/10.1016/S0140-6736(22)02076-1.