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ST2 per uso clinico: è arrivato il momento

By 22 Dicembre 2015No Comments
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ST2

Non appena abbiamo iniziato ad utilizzare sST2 (isoforma solubile di ST2) in ospedale e nei centri per la cura dell’insufficienza cardiaca, è capitato spesso di sentirsi chiedere: perché dovremmo usare sST2 quando il nostro attuale modo di gestire l’insufficienza cardiaca è di per sé già sufficiente? La risposta è al contempo semplice e complessa. Prendiamo ad esempio dei pazienti con insufficienza cardiaca acuta. Nella maggior parte dei casi, il trattamento prevede la somministrazione di diuretici dapprima per via endovenosa poi per via orale, seguito dalla dimissione. Alcuni pazienti stanno bene, altri necessitano di riospedalizzazione nell’arco di 30 giorni, altri ancora muoiono. Il fatto scoraggiante è che risulta estremamente difficile comprendere a quale di questi destini andrà incontro il paziente. Elevati livelli di BNP correlano con il sovraccarico di volume, spesso evidenziabile dal medico. Tuttavia, sulla base dell’esperienza acquista fino ad oggi, i livelli di sST2 ci consentono di caratterizzare lo stato di insufficienza cardiaca ben oltre di quanto desumibile dal volume intravascolare o dai reperti dell’esame obiettivo.

Riteniamo che sST2 possieda le potenzialità per essere considerato l’HbA1c dell’insufficienza cardiaca, in quanto il valore di sST2 è influenzato dallo stress di parete, dagli stati flogistici, dall’attivazione dei macrofagi (fibrosi) e da una serie di stimoli ancora da determinare. Così come un migliore controllo della glicemia determina una riduzione dei livelli di HbA1c con effetti prognostici favorevoli, un migliore controllo dell’insufficienza cardiaca sembra contribuire ad una diminuzione dei livelli di sST2.

L’età, il sesso, l’indice di massa corporea, l’eziologia dell’insufficienza cardiaca e la presenza di fibrillazione atriale e anemia non sembrano influire in maniera significativa sui livelli di sST2. Inoltre, diversamente dalla maggior parte degli attuali biomarcatori cardiaci, i livelli di sST2 non sembrano essere condizionati in modo significativo dalla funzionalità renale. Le concentrazioni di sST2 mostrano una variazione intra-individuale e una variabilità relativa di gran lunga inferiori rispetto a quelle di altri biomarcatori, il che consente di effettuare misurazioni seriali accurate. Inoltre, in ambito ambulatoriale, un valore di 35 ng/ml di sST2 sembra essere il livello da raggiungere nella terapia.

sST2 nel paziente con insufficienza cardiaca acuta
ST2

Figura 1

La Figura 1 illustra un paziente nel quale è stata conseguita una riduzione dei livelli di sST2 mediante terapia di combinazione con diuretici e ACE-inibitori. Il paziente era obeso e presentava bassi livelli di BNP sia al momento del ricovero sia durante il trattamento. Di fatto, la condizione di obesità precludeva l’utilizzo delle concentrazioni di peptidi natriuretici, ma non dei livelli di sST2. Nonostante una riduzione durante il ricovero, i livelli di sST2 sono rimasti ancora elevati (>35 ng/ml) al momento della dimissione, comportando la necessità di riospedalizzazione 10 giorni più tardi, in presenza di livelli di sST2 ancora più elevati (Figura 2).

ST2

Figura 2

Un elevato valore di sST2 al momento del ricovero ha un forte potere predittivo.

Primi insegnamenti derivati dall’uso di sST2 in pazienti con insufficienza cardiaca acuta
  1. Nei pazienti ricoverati per insufficienza cardiaca acuta, elevati livelli di sST2 identificano un paziente molto malato, anche quando i livelli dei peptidi natriuretici non sono alti o diminuiscono durante il trattamento.
  2. I livelli di sST2 si abbassano rapidamente nel corso del trattamento intra-ospedaliero, ma se permangono elevati al momento della dimissione sono indicativi di alto rischio di riospedalizzazione o eventi avversi.
  3. Quando si riscontri una diminuzione dei livelli di sST2 di solo il 25% rispetto ai valori osservati al momento del ricovero, potrebbe essere opportuno instaurare un trattamento più aggressivo, prevedendo l’aggiunta di altri farmaci durante la degenza ospedaliera, come lo spironolattone, per ottenere un’ulteriore riduzione dei livelli di sST2a.
  4. Elevati livelli di sST2 sono fortemente predittivi di ospedalizzazione per insufficienza cardiaca o di eventi avversi.
Valori di sST2 nell’insufficienza cardiaca cronica e utilizzo clinico

Nell’attuale contesto clinico, disponiamo non solo di BNP e sST2, ma anche delle troponine. In un recente studio di Miller et al., sono state raccolte le misurazioni dei biomarcatori effettuate ogni 3 mesi nel corso di 2 anni e sono state analizzate in relazione a morte/trapianto cardiaco e ospedalizzazione per insufficienza cardiaca. Il BNP, la troponina T e sST2, insieme alle variabili cliniche, hanno mostrato una correlazione con gli endpoint in tutti i biomarcatori ad eccezione della galectina 3.

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Figura 3

È interessante notare che solo le misurazioni seriate di sST2 hanno mostrato un valore incrementale nella riclassificazione dei pazienti. Infine, dati ottenuti presso il nostro centro ci spingono a proseguire in questa direzione (Figura 3). In 588 pazienti ambulatoriali indirizzati ad esame ecocardiografico, elevati livelli di sST2 sono risultati indipendentemente associati alla mortalità ad 1 anno, anche nel sottogruppo di 429 pazienti con anamnesi negativa per insufficienza cardiaca. Da sottolineare che nessun paziente con un valore di ST2 inferiore alla media è deceduto nei primi 6 mesi di follow-up.

Un valore di 35 ng/ml sembra differenziare i pazienti ad alto rischio da quelli a basso rischio

Numerosi studi indicano un valore cut-off di 35 ng/ml quale proverbiale “numero magico” da conseguire, verso il quale vanno indirizzati tutti gli sforzi, analogamente a quanto avviene per raggiungere livelli di NT-proBNP <1000 pg/ml o BNP <100 pg/ml. Nello studio Valsartan in Heart Failure (VAL-HeFT), l’aumento delle concentrazioni di sST2 dal basale a 12 mesi si è dimostrato un eccellente predittore di eventi.

Utilizzo di sST2 e BNP nel nostro ambulatorio

L’aggiunta di spironolattone ha determinato una riduzione dei livelli di sST2 al di sotto di 35 ng/ml e il paziente non ha avuto complicanze, né nuovi ricoveri in ospedale (Figura 4). Elevate concentrazioni di sST2 costituiscono un fattore predittivo di successiva ospedalizzazione, anche se i livelli di BNP sono relativamente bassi (Figura 5).

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Figura 4

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Figura 5

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Figura 6

Nel paziente della Figura 6, elevate concentrazioni di sST2 sono risultate predittive di due ricoveri precoci. Dopo il trattamento intraospedaliero, i livelli di sST2 si sono ridotti da 167 ng/ml a 73 ng/ml (risposta superiore al 50%) e il paziente non ha necessitato di ulteriori ospedalizzazioni (agosto 2015).

Insegnamenti derivati dall’uso di sST2 negli ambulatori per l’insufficienza cardiaca
  1. I livelli di sST2 misurati in ambito ambulatoriale diminuiscono non appena viene instaurato un trattamento efficace.
  2. Livelli di sST2 <35 ng/ml o una risposta superiore al 50% sono associati ad un miglioramento dei sintomi e della prognosi.
  3. Elevati livelli di sST2 in ambito ambulatoriale sono predittivi di eventi, anche quando i livelli di BNP sono bassi.
Il futuro della misurazione di sST2

Se sST2 diventerà di fatto l’equivalente dell’HbA1c nell’insufficienza cardiaca, il suo valore aumenterà in maniera esponenziale nella gestione di pazienti con insufficienza cardiaca. Le misurazioni seriate dei livelli di sST2 consentiranno di dosare la terapia e di monitorare lo stato clinico del paziente. Inoltre, in considerazione del fatto che sST2 è un forte marcatore del rischio di morte, ci si può attendere che presto sarà identificato un livello di sST2 da utilizzare per prendere decisioni nei pazienti trattati con ICD, CRT, impianto di CardioMEMS o portatori di dispositivi di assistenza ventricolare sinistra.

A completamento della discussione sull’uso dei biomarcatori occorre menzionare la questione degli indicatori surrogati per determinare l’efficacia della terapia con alcuni dei nuovi farmaci per l’insufficienza cardiaca. ARNI1 (precedentemente conosciuto come LCZ696), un farmaco che ha ricevuto recentemente il marchio CE ed approvato dalla FDA, e l’ivabradina (Corlanor®, Servier, commercializzata da Amgen negli Stati Uniti), con marchio CE ed approvazione della FDA, pur offrendo entusiasmanti vantaggi potenziali per i pazienti con insufficienza cardiaca – acclamati anche come farmaci di svolta da alcuni – sollevano la spinosa questione del rapporto costo-beneficio. La nuova realtà della cura dell’insufficienza cardiaca è che, nonostante la disponibilità di un numero sempre più elevato di opzioni terapeutiche di cui possono beneficiare milioni di pazienti, l’onere per i sistemi sanitari è salito alle stelle. I biomarcatori, e sST2 in particolare, potrebbero offrire ai medici e alle istituzioni la possibilità di personalizzare la terapia nel singolo paziente a costi accessibili. Per questo e per i numerosi esempi tratti dal mondo reale sopra riportati, sST2 è destinato ad avere un brillante futuro nel trattamento dell’insufficienza cardiaca.

A cura di Alan S. Maisel, Veterans Affairs Medical Center, San Diego, California; Division of Cardiology, University of California, San Diego, California

Leggi l’intero contributo di Alan Maisel (PDF: 2 Mb)