
A cura di Giuseppe Santarpino, Centro Cardiovascolare, Paracelsus Medical University di Norimberga, Germania
Il trial NOTION (All-comers Nordic Aortic Valve Intervention) è uno studio tricentrico nordeuropeo (2 centri danesi ed uno svedese) che ha randomizzato pazienti di età >70 anni affetti da stenosi valvolare aortica severa ad indicazione chirurgica in due bracci: un gruppo era sottoposto a sostituzione valvolare aortica chirurgica (SVA) come raccomandato dalle attuali linee guida (gruppo controllo) ed il secondo gruppo (gruppo trattamento) ad approccio transcatetere per l´impianto di protesi valvolare aortica (TAVI). L’importanza di questo trial risiede nel fatto che si tratta del primo studio clinico randomizzato che ha confrontato l’uso delle protesi ad impianto transcatetere vs SVA in una popolazione di pazienti a basso rischio. I due gruppi presentavano, infatti, un rischio operatorio statistico ad un mese dalla procedura – secondo lo score STS (Society of Thoracic Surgeons) – del 2.9 vs 3.1%.
Il trial prevede per questi pazienti (280 in totale, 139 TAVI vs 135 SVA, 4 pazienti deceduti prima della procedura e 2 pazienti non sottoposti a trattamento) un follow-up fino a 5 anni dalla procedura, mentre lo studio presentato all’ACC 2015 da Hans Gustav Thyregod, e pubblicato su JACC, mostra i risultati ad un anno. L´endpoint primario valutato era un composito di morte, ictus o infarto del miocardio ad un anno. La gestione terapeutica postoperatoria dei pazienti (uso di antiaggreganti/anticoagulanti) è stata la stessa nei due gruppi.
Nei risultati a 30 giorni dalla procedura, il gruppo TAVI registrava un rischio inferiore di complicanze emorragiche immediate gravi (11.3 vs 20.9%), shock cardiogeno (4.2 vs 10.4%) ed insufficienza renale (0.7 vs 6.7%). Dall’altro lato, il gruppo TAVI aveva un’incidenza molto superiore di impianto di pacemaker nel postoperatorio (34.1 vs 1.6%). L’outcome ad un anno – con la valutazione dell´endpoint composito primario – non mostrava differenze significative tra i due gruppi. Sul piano clinico (classe NYHA) i pazienti sottoposti a procedura chirurgica hanno registrato un miglior risultato funzionale, mentre i pazienti sottoposti a TAVI presentavano una incidenza significativamente superiore di insufficienza intra/periprotesica (pazienti con insufficienza moderato-severa 15.7 vs 0.9%). Gli autori concludono di non essere in grado di consigliare o sconsigliare una di queste due procedure in questa categoria di pazienti a rischio medio-basso.
In altri termini, le conoscenze attuali, comprese quelle acquisite con l’attuale studio, concordano sul fatto che la procedura chirurgica comporti un rischio immediato superiore rispetto ad una procedura TAVI che per sua natura si presenta “meno invasiva”. Questo svantaggio immediato dato dall’approccio chirurgico si associa tuttavia ad un miglior outcome di questi stessi pazienti chirurgici sul piano clinico ed ecocardiografico in termini di migliore sopravvivenza registrata in follow-up di più lunga durata, cosa che, in particolar modo per i pazienti a rischio medio-basso, rappresenta il target principale da raggiungere.
Lo sforzo organizzativo per un trial di questa portata è significativo come pure l’analisi statistica, ma, in ogni caso, come anche gli stessi autori hanno in parte sottolineato, esistono dei limiti dello studio che vanno tenuti in considerazione:
- una parte degli autori è direttamente o indirettamente dipendente o è stata sponsorizzata dall’industria farmaceutica che fornisce uno dei due prodotti in studio;
- non sono stati arruolati i pazienti affetti da coronaropatia coesistente (quasi sempre presente in questa categoria di pazienti anziani): in fase di arruolamento gli stessi autori hanno dovuto escludere quasi il 90% dei pazienti giunti all’osservazione dell’Heart Team;
- Le due procedure hanno una differenza nei costi ospedalieri nota e altamente significativa: l´ipotesi degli autori (non inferiorità dell´approccio TAVI) aprirebbe uno scenario per cui tutti i pazienti andrebbero in futuro sottoposti ad una procedura transcatetere con costi sanitari – secondo le stime attuali – che andrebbero quantomeno valutati;
- una procedura “super-moderna” (=TAVI) viene confrontata con una procedura “super-antica” (=SVA tradizionale). Oggigiorno però, nella maggior parte dei centri cardiochirurgici, la SVA viene effettuata con approcci diversi (incisioni mini-invasive, protesi sutureless, etc.) che meglio potrebbero competere con le moderne tecniche interventistiche;
- l’approccio statistico intention-to-treat ha fatto analizzare un paziente pianificato per TAVI nel gruppo chirurgico (nonché deceduto 11 giorni dopo l’intervento) e 3 pazienti con complicanza intraoperatoria in corso di TAVI che hanno necessitato di una SVA chirurgica in emergenza;
- indipendentemente dal gruppo di appartenenza, l’incidenza di shock cardiogeno postoperatorio (4.2% e 10.4%) in una popolazione a basso rischio appare eccessivamente elevato. Inoltre il gruppo chirurgico ha registrato una mortalità a 30 giorni superiore a quella statisticamente prevista (3.7 vs 3.1%);
- l’incidenza molto elevata di impianto di pacemaker postoperatorio nel gruppo TAVI (oltre un terzo dei pazienti sottoposti a TAVI) andrebbe valutata più in relazione al modello TAVI impiegato dagli autori e noto per la sua stretta associazione con l’impianto postoperatorio di pacemaker, che con l’appartenenza in sé al gruppo TAVI. Questa così alta incidenza di impianto di pacemaker andrebbe anche discussa e valutata, visto il noto rapporto tra stimolazione da pacemaker e peggioramento della funzione cardiaca;
- la maggior percentuale di pazienti con dispnea ad un anno dalla procedura TAVI è verosimilmente correlata alla maggior incidenza di pazienti con insufficienza valvolare protesica. Tale problematica, riportata per le protesi TAVI della generazione attualmente in uso, è noto che si correli anche ad una maggiore mortalità al follow-up che in questo studio non è stata registrata – o non lo è stata ancora – a causa alla brevità del follow-up attuale.
No Comments