
Il più ampio studio mai realizzato in pazienti colpiti da arresto cardiaco extraospedaliero, pubblicato sul New England Journal of Medicine, dimostra che la rianimazione cardiopolmonare (RCP) eseguita dai soccorritori del servizio medico d’emergenza con compressioni toraciche continue non è superiore, in termini di sopravvivenza, alle manovra standard con interruzione delle compressioni per ripristinare la pervietà delle vie aeree. Precedenti studi avevano documentato una sopravvivenza dell’8.1% fra i soggetti nei quali era stata praticata la rianimazione cardiopolmonare con interruzione delle compressioni del torace ed i ricercatori del Resuscitation Outcomes Consortium si sono proposti di verificare se le compressioni toraciche continue potessero contribuire ad un miglioramento dell’outcome.
Lo studio ha coinvolto 114 servizi medici d’emergenza ed oltre 23.00 pazienti con arresto cardiaco randomizzati a compressioni continue del torace (n=12.563, gruppo intervento: 100 compressioni senza pausa tra le ventilazioni) o a compressioni intervallate da brevi pause (n=11.058, gruppo di controllo: 30 compressioni seguite da due ventilazioni). L’endpoint primario era costituito dal tasso di sopravvivenza alla dimissione ospedaliera, che è risultato del 9.0% nel gruppo intervento e del 9.7% nel gruppo di controllo (differenza -0.7 punti percentuali; IC 95% -1.5;0.1, p=0.07). L’endpoint secondario, rappresentato dall’outcome neurologico sulla base di un punteggio ≤3 alla scala di Rankin modificata, ha dimostrato un miglioramento nel 7.0% dei pazienti del gruppo intervento e nel 7.7% del gruppo di controllo (differenza -0.6 punti percentuali; IC 95% -1.4;0.1, p=0.09).
La ventilazione/ossigenazione sembra svolgere un ruolo rilevante, superiore alle attese. Per quanto la rianimazione cardiopolmonarecon compressioni continue del torace preveda anch’essa la ventilazione, la quantità di ossigeno rilasciata per singolo respiro è limitata ed i risultati dello studio stanno ad indicare che l’interruzione delle compressioni toraciche seguita dalla ventilazione è parimenti efficace in termini di sopravvivenza e di esito neurologico. Da sottolineare, tuttavia, che questi risultati vanno interpretati esclusivamente nel contesto della RCP effettuata da operatori addestrati del servizio medico d’emergenza e non si applicano quindi all’arresto cardiaco soccorso dagli astanti laici, per il quale restano raccomandate le compressioni toraciche continue.
Alla luce dei dati forniti dal Resuscitation Outcomes Consortium, dovranno verosimilmente essere riviste le linee guida dell’American Heart Association (AHA) sulla rianimazione cardiopolmonare, pubblicate solo un mese prima, che raccomandano (in classe IIb) le compressioni continue del torace per i pazienti colpiti da arresto cardiaco extraospedaliero, soccorsi dal servizio medico d’emergenza. È pur vero che la raccomandazione delle linee guida AHA si fondava su dati derivati da studi osservazionali nei quali entravano in gioco differenti fattori, fra i quali difficile è stabilire quale in particolare avesse contribuito al beneficio finale.