
In occasione dell’ultimo Congresso dell’European Society of Cardiology sono stati presentati i risultati del follow up a 1 anno del Registro ETNA-AF, i quali hanno messo in evidenza come il trattamento con edoxaban sia efficace e sicuro per il trattamento della fibrillazione atriale non valvolare anche nei pazienti anziani e molto anziani, con o senza una storia pregressa di emorragia intracranica, con comorbilità e ad alto rischio cardiovascolare. I risultati hanno infatti dimostrato che l’incidenza di sanguinamenti maggiori è stata generalmente bassa in tutti i gruppi di pazienti.
“È un Registro con caratteristiche abbastanza uniche per le dimensione, si tratta di oltre 21.000 pazientidi cui oltre 13.000 della coorte europea, e per l’altro grado di qualità rappresentata dalla natura prospettica, dall’armonizzazione delle definizioni con quelle di altri Registri “, ha commentato – in occasione dell’80esima edizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di Cardiologia – Raffaele De Caterina, Responsabile dell’UO Cardiologia 1 dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana. “Inoltre, lo studio ha reclutato una popolazione abbastanza tipica per la fibrillazione atriale, quindi in larga parte di soggetti anziani.
Sulle caratteristiche della popolazione del Registro si è soffermato anche Pietro Ameri, cardiologo del Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche dell’Università degli Studi di Genova. “Sono molto rappresentati i pazienti anziani, con una percentuale di ultre 75enni superiore al 30% e con addirittura un 15% di ultra 85enni […]. Si tratta di una popolazione piuttosto eterogenea, nell’ambito dei soggetti reclutati ci sono sia persone anziane in buone condizioni generali, con un rischio di ictus ischemico e sanguinamento relativamente basso, che persone fragili”.
Degno di nota è il fatto che i dati emersi dal Registro ETNA-AF sono addirittura più positivi di quelli del trial registrativo di edoxaban, l’ENGAGE-AF. “In particolare – ha spiegato Igor Diemberger, cardiologo del Dipartimento di Medicina Specialistica, Diagnostica e Sperimentale dell’Università di Bologna – per entrambi i dosaggi, sia 60 mg che 30 mg, c’è una tendenza a una riduzione sia degli eventi tromboembolici che degli eventi emorragici rispetto ai dati del trial registrativo”.
Fabio Ambrosino