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Prediabete negli anziani: prevalenza elevata, rilevanza clinica scarsa

A cura di Fabio Ambrosino By 19 Febbraio 2021Marzo 2nd, 2022No Comments
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Prediabete

Gli anziani che rientrano nella categoria del cosiddetto “prediabete” hanno più probabilità di morire o di ritornare a una condizione di normoglicemia che di sviluppare effettivamente un diabete. Sono stati pubblicati su JAMA Internal Medicine i risultati di uno studio condotto su un campione di soggetti con un’età media di 75 anni, i quali mettono in discussione l’utilità della categoria diagnostica in questa popolazione (1).

Quanti sono gli anziani con prediabete che diventano diabetici?

Per rispondere a questa domanda i ricercatori hanno preso in considerazione una coorte di 3.412 individui non diabetici – età media: 75,6 anni – inclusi nell’Atherosclerosis Risk in Communities Study (ARIC), finanziato dal National Heart, Lung, and Blood Institute dei National Institutes of Health degli Stati Uniti.

La condizione di prediabete è stata definita dal riscontro di un livello di emoglobina glicata (HbA1c) compreso tra il 5,7% e il 6,4%, di un livello di glicemia a digiuno alterato (IFG) (tra 100 e 125 mg/dL), o di entrambi. L’incidenza del diabete è stata invece calcolata sulla base delle diagnosi effettuate dai medici, dell’uso di terapie per il controllo della glicemia, dei livelli di HbA1c (superiori o uguali al 6,5%) o dei livelli di IFG (superiori o uguali a 126 mg/dL).

Dei 3.412 soggetti inclusi nello studio, 2.497 hanno effettuato la visita di follow-up o sono deceduti. A 6,5 anni dal reclutamento sono state registrate 118 diagnosi di diabete e 434 decessi. La prevalenza di prediabete nella coorte considerata è risultata molto elevata: 2.482 soggetti (73%) avevano un livello HbA1c compreso tra il 5,7% e il 6,4% o un livello di IFG alterato, mentre 1.004 (29%) li avevano entrambi.

I dati al follow up a 6,5 anni, tuttavia, hanno messo in evidenza come il rischio di sviluppare effettivamente un diabete sia, in questi soggetti, piuttosto ridotto:

  • tra gli anziani con un livello HbA1c compreso tra il 5,7% e il 6,4%, 97 (9%) hanno poi sviluppato un diabete mentre 148 (13%) sono tornati a una condizione di normoglicemia (HbA1c < 5,7%) e 207 sono deceduti (19%);
  • tra quelli con livelli di IFG tra 100 e 125 mg/dL, invece, quelli che hanno poi sviluppato un diabete sono stati 112 (8%) mentre 647 (44%) sono tornati a una condizione di normoglicemia (IFG < 100 mg/dL) e 236 sono deceduti (16%);
  • tra i soggetti con normoglicemia alla baseline, invece, solo il 3% ha in seguito ricevuto una diagnosi di diabete: 41 tra quelli con livelli di HbA1c < 5,7% e 26 tra quelli IFG < 100 mg/dL. Il passaggio in una condizione di prediabete si è invece registrato in 239 (17%) e 80 (8%) soggetti, rispettivamente.
Prediabete negli anziani, un fattore di rischio “due volte rimosso”

Gli autori dello studio concludono quindi che, a fronte di un’elevata prevalenza, nella fascia di popolazione con età superiore a 75 anni la definizione di prediabete non permette di individuare precocemente gli anziani che svilupperanno effettivamente un diabete: di fatto è più probabile che un soggetto che rientra in questa categoria muoia o ritorni a una condizione di normoglicemia.

In un articolo di commento pubblicato sullo stesso numero di JAMA Internal Medicine, Kenneth Lam e Sei J. Lee dell’University of California sottolineano come il significato clinico di queste evidenze dipenda dal tipo di soggetto che ci si trova di fronte: fragile e con un’aspettativa di vita limitata o di età superiore ai 75 anni ma sano.

Nel primo caso, scrivono, “il prediabete è irrilevante e può essere ignorato in sicurezza. Poiché è molto probabile che gli effetti della gestione del prediabete emergano dopo 10 o più anni è improbabile che gli anziani fragili e con un’aspettativa di vita limitata ne traggano un beneficio”.

Anche per la maggior parte degli anziani sani, tuttavia, la gestione del prediabete non dovrebbe essere una priorità. Poiché con i trattamenti oggi disponibili il diabete di tipo 2 in molti casi può essere visto, più che come una malattia in sé, come un fattore di rischio asintomatico per complicanze vascolari. Quindi, scrivono Lam e Lee, il prediabete costituisce un fattore di rischio “due volte rimosso”.

Il prediabete dovrebbe avere una priorità inferiore rispetto alle condizioni sintomatiche o ai fattori di rischio tradizionali”, scrivono. “Il tempo e gli sforzi necessari per discutere le strategie di gestione dopo una diagnosi di prediabete non dovrebbero andare a scapito di altre questioni di immediata importanza per il paziente”.

Fabio Ambrosino

Bibliografia
1. Rooney MR, Rawling AM, PAnkow JS, et al. Risk of Progression to Diabetes Among Older Adults With Prediabetes. JAMA Internal Medicine 2021; doi:10.1001/jamainternmed.2020.8774
2. Lam K, Lee SJ. Prediabetes—A Risk Factor Twice Removed. JAMA Internal Medicine 2021; doi:10.1001/jamainternmed.2020.8773