
La fibrillazione atriale è davvero meno frequente nelle donne? Dipende da quali parametri si considerano. È quanto emerge da un’ampia analisi di coorte statunitense, i cui risultati sono stati pubblicati sul JAMA Cardiology e segnalati su CARE, che sembra sfatare un’antica convinzione circa la relazione tra sesso e rischio di sviluppare l’aritmia.
Il gruppo di cardiologi americani, coordinato da ricercatori del Cedars Sinai Medical Center di Los Angeles, ha preso in considerazione una popolazione di 25.119 soggetti precedentemente reclutati in uno studio randomizzato sugli effetti della supplementazione di vitamina D e acidi grassi omega-3 sull’incidenza di fibrillazione atriale (VITAL STUDY – Vitamin D and Omega-3Trial Rhythm Study). Questi erano composti da uomini con età superiore a 50 anni e donne con età superiore a 55 anni senza storia precedente di fibrillazione atriale, patologie cardiovascolari o cancro.
Dopo un follow-up medio di 5,3 anni, l’incidenza di fibrillazione atriale è risultata del 4% tra gli uomini e del 3,2% tra le donne. Un’associazione, questa, che persisteva anche dopo aggiustamento per fattori quali età, etnia, fumo, alcol, ipertensione, diabete, malattie della tiroide, tipo di trattamento ricevuto etc. Tuttavia, quando invece dell’indice di massa corporea (BMI) venivano presi in considerazione fattori quali l’altezza, l’altezza e il peso o la superficie corporea, il rapporto si invertiva e le donne risultavano addirittura più esposte degli uomini al rischio di sviluppare la patologia.
In conclusione, sottolineano gli autori, il dato relativo alla minore prevalenza di fibrillazione atriale nelle donne nella popolazione generale sarebbe riconducibile al fatto che, in media, le donne hanno una altezza inferiore e dunque una superficie corporea inferiore agli uomini.
Bibliografia:
Siddiqi HK, Vinayagamoorthy M, Gencer B et al. Sex differences in atrial fibrillation risk: the VITAL rhythm study. JAMA Cardiol 2022; e222825.