
La presenza di medici e ricercatori sui social media li espone a reazioni di ogni tipo: è un volano di popolarità, ovviamente, al punto che può accadere che un articolo rilanciato da uno degli autori su Twitter o su Instagram determini un più alto numero di citazioni su riviste accademiche. Argomento di crescente interesse – proprio per le sue diverse implicazioni – ha indotto la redazione della rivista Science a chiedere a 9585 ricercatori che hanno pubblicato su COVID-19 di compilare un sondaggio online sulle loro esperienze [1]. Dei 510 che hanno risposto, il 38% ha segnalato almeno un tipo di attacco non solo sui social ma anche via mail o al telefono. Talvolta anche di persona. Le persone oggetto di queste reazioni – che arrivano in casi estremi fino alle minacce di morte – hanno sottolineato l’impatto anche devastante sulla vita personale, potendo creare problemi sul posto di lavoro o disturbi psicologici.
La pandemia e la polarizzazione estrema delle posizioni sulla prevenzione e le terapie ha aggravato il problema. Lo studio di Science va contestualizzato e, per questo, possiamo ricordare come l’organizzazione no profit Insecurity Insight abbia segnalato 517 casi di violenza fisica legati al covid-19: 10 operatori sanitari sono stati uccisi, 24 rapiti e 89 feriti [2]. Uno studio pubblicato questo mese sull’American Journal of Public Health ha messo in evidenza molestie nel 57% di 583 dipartimenti sanitari statunitensi e 80 dimissioni presentate da funzionari che hanno subito molestie [3]. Un sondaggio pubblicato nell’ottobre 2021 su Nature dà altri numeri sorprendenti: l’81% dei 321 scienziati che avevano partecipato più attivamente al dibattito pubblico su COVID-19 ha ricevuto almeno attacchi personali e nel 25% questi attacchi erano frequenti o costanti [4]. Una storia nota anche per chi lavora in ambiti come la ricerca sul clima o sugli animali.
Il sondaggio di Science prima citato mostra che i ricercatori oggetto di attacco personale hanno riferito disturbi d’ansia, paura per la propria reputazione e perdita di produttività. Fino a arrivare all’abuso di sostanze o a malattie direttamente riconducibili a stress. Meno del 10% dei ricercatori molestati ha ricevuto supporto legale (7%), tecnologico (8%), supporto alla propria sicurezza (5%) o un sostegno riguardo la salute mentale (6%) dai propri datori di lavoro. L’aiuto da parte degli uffici stampa dell’università è rimasto un sogno non esaudito. A molti sarebbe bastato un supporto emotivo: la certezza di non essere in colpa e la conferma che il loro impegno nella comunicazione nei confronti del pubblico era prezioso. Ma anche questo non è arrivato.
Bibliografia
1. O’Grady C. In the line of fire. Science 2022; 24 marzo. Ultimo accesso 30 marzo 2022.
2. Insecurity Insight & UC Berkeley Human Rights Center. Violence Against Health Care: Attacks During a Pandemic. Febbraio 2021
3. Ward JA, Stone EM, Mui P, Resnick B. Pandemic-Related Workplace Violence and Its Impact on Public Health Officials, March 2020‒January 2021. American Journal of Public Health 0, e1_e11
4. Nogrady B. ‘I hope you die’: how the COVID pandemic unleashed attacks on scientists. Nature 2021; Ultimo accesso 30 marzo 2022.