
Gli anticoagulanti orali diretti rappresentano ormai lo standard terapeutico per i pazienti con fibrillazione atriale non valvolare che necessitano di una terapia anticoagulante. Tuttavia, persistono ancora dei dubbi in merito ad alcune applicazioni, come nel caso dei pazienti anziani, spesso non adeguatamente trattati. Di questa e di altre tematiche – dal ruolo del cardiologo nel controllare il paziente e verificare l’aderenza alla terapia alla possibilità di combinare un trattamento anticoagulante e antiaggregante dopo un’angioplastica coronarica e/o dopo sindrome coronarica acuta – si è parlato nel corso del Convegno “Le ultime sfide della terapia anticoagulante orale”, tenutosi il 9 e 10 ottobre a Bra-Pollenzo (Cuneo). Nel corso della due giorni, infatti, i molti cardiologi piemontesi che hanno preso parte all’evento hanno avuto la possibilità di discutere gli ultimi studi pubblicati in materia e conoscere i protocolli attuati nelle unità operative della Regione.
“Il paziente anziano rappresenta tutt’oggi una grande sfida per tutti noi”, spiega Roberta Rossini, Struttura Complessa di Cardiologia dell’Azienda Ospedaliera Santa Croce di Cuneo. “È un paziente che è molto frequente trovare nei nostri ambulatori ma che pone dei problemi nella sua gestione”. Spesso infatti si tratta di soggetti fragili, con comorbilità multiple e problemi di aderenza al trattamento.
Inoltre, nel caso dei pazienti anziani c’è un altro fattore da tenere in considerazione quando si sceglie la terapia anticoagulante: il rischio di cadute e, quindi, di sanguinamento. Tuttavia, come ricorda Federico Nardi, Struttura Complessa di Cardiologia dell’Azienza Ospedaliera Santa Croce di Cuneo, non bisogna trascurare che spesso i pazienti anziani presentano anche un rischio tromboembolico molto elevato. Nello specifico, affinché “il rischio di sanguinamento associato alle cadute sia pari a quello di eventi embolici devono cadere 300 persone”, sottolinea Nardi.
Un altro tema trattato nel corso del Convegno è stato quello della terapia anticoagulante nei pazienti che devono essere sottoposti a un’angioplastica. Casi, questi, in cui “la gestione è combinata – spiega Andrea Rognoni, Struttura Complessa di Cardiologia dell’Azienza Ospedaliera Santa Croce di Cuneo – tra il cardiologo interventista che con le proprie mani esegue la procedura di rivascolarizzazione, il cardiologo clinico che lo segue in unità di terapia intensiva coronarica e in reparto e, ancora, il cardiologo clinico che lo segue in ambulatorio”.
Sempre in merito ai pazienti sottoposti ad angioplastica, infine, si è discusso dei risultati dello studio ENTRUST-AF PCI, i quali sono andati ad aggiungersi agli ormai numerosi trial effettuati in questo setting. Ferdinando Varbella del Presidio Ospedaliero di Rivoli (Torino), commentando le evidenze emerse, sottolinea come “la triplice terapia a base di antivitamina K e doppia terapia antiaggregante dev’essere abbandonata. […] Il secondo messaggio dello studio ENTRUST-AF PCI è che la terapia anticoagulante con aspirina deve essere ridotta al minimo possibile”.
Fabio Ambrosino