
Le disabilità sono spesso sottorappresentate nei trial clinici in ambito cardiovascolare e, inoltre, sono comunemente utilizzate come criterio di esclusione in fase di reclutamento.
È quanto emerge dai risultati di un’analisi che sarà presentata nel corso del meeting 2023 dell’American College of Cardiology (ACC.23), organizzato in collaborazione con la World Heart Federation e in programma dal 4 al 6 marzo a New Orleans.
I ricercatori hanno preso in considerazione 80 trial clinici, selezionando gli ultimi 20 pubblicati in ognuna di quattro aree della ricerca cardiovascolare – fibrillazione atriale, coronaropatie, ipertensione e diabete – e individuando quelli con dati pubblicamente accessibili.
I risultati hanno messo in evidenza come il 38% dei trial clinici elencasse una disabilità tra i criteri di esclusione. Al contrario, solo l’8% degli studi considerati riportava queste condizioni tra le caratteristiche di base dei soggetti reclutati.
Tra le diverse aree della ricerca in ambito cardiovascolare, quella con il numero maggiore di trial clinici che indicavano una disabilità come criterio di esclusione è risultata essere l’ipertensione (55% dei trial), mentre quella in cui questa indicazione si riscontra meno frequentemente è risultata essere il diabete (15% dei trial).
Le disabilità citate più frequentemente tra i criteri di esclusione erano quelle riguardanti problemi cognitivi e psichiatrici, presenti in un trial clinico su tre. Tra il 3% e l’8% degli studi considerati escludeva invece i soggetti con disabilità riguardanti la mobilità, la vista, l’udito, l’autonomia funzionale e la cura di sé.
L’esclusione delle persone con disabilità non riguarda però soltanto i trial clinici. Un altro studio che sarà presentato ad ACC.23, ad esempio, ha messo in evidenza come le persone con disabilità a livello intellettivo ricoverate per una sindrome coronarica acuta avessero una probabilità minore di essere sottoposte ad angiografia coronarica e rivascolarizzazione e un rischio maggiore di morire in ospedale.