
I risultati del trial ISCHEMIA, presentati lo scorso novembre nel corso del meeting annuale dell’American Heart Association e pubblicati in seguito sul New England Journal of Medicine, hanno messo in evidenza come l’opzione invasiva non porti in realtà alcun vantaggio significativo, rispetto a una terapia medica ottimale, nel trattamento dei pazienti con sindrome coronarica cronica stabile (1). Grazie a un campione molto ampio e un rigoroso impianto metodologico lo studio ha permesso di ottenere una risposta a una questione aperta da più di quarant’anni, da quando l’angioplastica coronarica è entrata a far parte del ventaglio delle opzioni terapeutiche a disposizione del cardiologo interventista. Ma a quale classe di pazienti con sindrome coronarica cronica stabile sono applicabili le conclusioni dello studio?
Per capirlo è necessario analizzare nel dettaglio la popolazione inclusa nello studio. Nel trial ISCHEMIA sono stati sottoposti a procedura di randomizzazione 5179 pazienti con malattia ischemica stabile (età media: 64 anni), dei quali il 23% di sesso femminile (n = 1.168) e il 41% con diabete (n = 2.122). Il 75% dei soggetti (n = 3.909) era stato sottoposto un test da stress in modalità imaging, con un’ischemia grave e una moderata individuata rispettivamente nel 44,8% e nel 41,0% di questi. Per i soggetti non sottoposti a test di imaging – i quali sono stati analizzati tramite uno stress da sforzo – i criteri di inclusione erano: angina, ischemia a un carico di lavoro precoce e una stenosi di almeno il 70% in un’arteria coronarica maggiore non sinistra. In generale, quindi, i soggetti randomizzati dopo un test da sforzo avevano in media una malattia coronarica più estesa a livello anatomico (2).
Dei 3.783 (73,0%) soggetti che sono stati sottoposti a un’angiografia dopo la randomizzazione, la maggior parte aveva una coronaropatia multi vasale e/o una stenosi dell’arteria coronarica discendente anteriore sinistra. I pazienti sottoposti a randomizzazione dopo un test da sforzo sono risultati associati, a un esame angiografico, a un tasso maggiore di malattia su tre vasi e di stenosi (prossimale e non) dell’arteria coronarica discendente anteriore rispetto ai soggetti sottoposti a test di imaging. Questo a dimostrazione che i ricercatori sono riusciti a rispettare l’obiettivo di reclutare, attraverso un test da sforzo, pazienti con un grado di coronaropatia almeno uguale a quello dei pazienti sottoposti a un test da stress in modalità imaging.
In conclusione, si può affermare che i risultati del trial ISCHEMIA – i quali hanno dimostrato come la rivascolarizzazione non porti vantaggi in termini di incidenza di nuovi eventi coronarici, fatali e non, rispetto a una terapia medica ottimale – sono applicabili ai pazienti stabili con ischemia moderata o severa. Non sono generalizzabili, invece, ai pazienti con sindromi coronariche acute, coronaropatia sinistra clinicamente significativa, frazione di eiezione ridotta, scompenso cardiaco di classe III e IV o ai soggetti fortemente sintomatici nonostante la terapia medica ottimale.
Fabio Ambrosino
Bibliografia
1. Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. Initial invasive or conservative strategy for stable coronary disease. New England Journal of Medicine 2020; 382:1395-407.
2. Hochman JS, Reynolds HR, Bangalore S, et al. Baseline characteristics and risk profiles of participants in the ISCHEMIA Randomized Clinical Trial. JAMA Cardiology 2019; 4(3): 273 – 286