
Gli anticoagulanti orali diretti (DOAC) hanno rivoluzionato la terapia anticoagulante, offrendo un’efficacia paragonabile agli antagonisti della vitamina K, ma con un miglior profilo di sicurezza e semplificando il trattamento nei pazienti con fibrillazione atriale e tromboembolismo venoso (TEV). Più recentemente, si è prospettato l’impiego clinico degli inibitori del fattore XI e del fattore XII. I primi, al momento, hanno maggiori dati clinici rispetto ai secondi.
Maria Cristina Vedovati, dell’Università degli Studi di Perugia, e Giancarlo Agnelli, degli Istituti clinici scientifici Maugeri di Pavia, presentano in una rassegna pubblicata sul fascicolo di giugno del Giornale Italiano di Cardiologia il razionale per l’impiego clinico e le principali evidenze ad oggi disponibili sull’utilizzo degli inibitori del fattore XI (1).
I meccanismi identificati per l’inibizione del fattore XI sono diversi e includono: l’inibizione della sintesi epatica del fattore XI tramite la degradazione catalitica dell’mRNA codificante per il fattore XI; la soppressione della generazione del fattore XI attivato e/o l’inibizione della sua attività; il legame reversibile specifico con il sito catalitico del fattore XI attivato; il legame al fattore XI e/o al fattore XI attivato e il blocco della sua attività; infine, la neutralizzazione dei polifosfati o degli acidi nucleici tramite una interazione ionica e quindi un’attenuazione dell’attivazione della via del contatto.
I potenziali inibitori del fattore XI presentano sostanziali differenze quali le proprietà farmacologiche, la rapidità d’azione, il metabolismo e la via di somministrazione, riassunte graficamente nell’articolo di Vedovati e Agnelli.
Gli studi clinici recentemente pubblicati, o completati, con gli inibitori del fattore XI, e portati in rassegna dagli autori, riguardano: la chirurgia ortopedica, associata a un elevato rischio di TEV postoperatorio e di complicanze emorragiche; l’insufficienza renale cronica, nota per essere un fattore di rischio per eventi cardio- e cerebrovascolari; la fibrillazione atriale, dal momento che i DOAC sono comunque associati a un rischio di sanguinamento quando impiegati nella prevenzione del cardioembolismo; la trombosi venosa in pazienti neoplastici, considerata la recidiva di TEV e di sanguinamento; l’ictus ischemico/attacco ischemico transitorio, in cui la recidiva precoce di ictus resta elevata nonostante i progressi nella prevenzione secondaria; l’infarto miocardico acuto, per il rischio di recidiva, nonostante l’utilizzo della duplice terapia antipiastrinica; infine, la tromboprofilassi nei pazienti con Covid-19, per l’incidenza elevata di eventi tromboembolici soprattutto in terapia intensiva.
Vedovati e Agnelli, nella loro analisi, offrono alcuni messaggi chiave per ogni casistica di seguito riassunti.
- Artroprotesi elettiva di ginocchio: gli inibitori del fattore XI si sono dimostrati più sicuri di enoxaparina e superiori per efficacia se utilizzati a dosaggio alto. Questi dati aprono la strada per un possibile utilizzo clinico in questo scenario.
- Insufficienza renale terminale (pazienti in emodialisi): l’utilizzo degli inibitori del fattore XI si è associato ad un rischio di sanguinamento contenuto e a una riduzione degli eventi occlusivi dei circuiti rispetto a placebo, tuttavia i dati sono ancora preliminari.
- FA e aumentato rischio di sanguinamento: gli inibitori del fattore XI sembrano sicuri (riduzione dei sanguinamenti clinicamente rilevanti per asundexian rispetto ad apixaban). Studi di fase 3 sono in corso per valutare, oltre alla sicurezza, l’efficacia di questi farmaci nella prevenzione del cardioembolismo.
- TEV cancro-relato: sono in corso studi di fase 3 per valutare l’efficacia e la sicurezza di abelacimab in due contesti clinici, ovvero nei pazienti con neoplasia attiva e nei pazienti con neoplasia attiva non resecabile del tratto gastrointestinale.
- Ictus ischemico o TIA non cardioembolico: gli inibitori del fattore XI, in aggiunta alla terapia antipiastrinica, hanno evidenziato una potenziale riduzione delle recidive ischemiche cerebrali sintomatiche, ma anche una tendenza all’aumento dei sanguinamenti rispetto alla terapia antipiastrinica da sola. Uno studio di fase 3 è in corso in questo scenario clinico.
- IMA: l’aggiunta di asundexian alla duplice terapia antipiastrinica non si è associata ad una riduzione degli eventi ischemici maggiori rispetto alla duplice terapia antipiastrinica da sola.
- Covid-19 in terapia intensiva: è in corso uno studio volto a valutare l’incidenza di eventi avversi con gli inibitori del fattore XI rispetto alla terapia convenzionale.
“Con gli inibitori del fattore XI ci si propone di scardinare il dogma che considera il sanguinamento un effetto collaterale inevitabile della terapia anticoagulante favorendo il disaccoppiamento tra emostasi e trombosi” concludono gli autori, aggiungendo che gli studi fino ad oggi pubblicati sugli inibitori del fattore XI hanno mostrato un buon profilo di sicurezza. Sono in corso ulteriori studi per definire la rilevanza clinica in termini di efficacia e sicurezza di queste molecole.
Bibliografia
1. Vedovati MC, Agnelli G. Una nuova strategia per l’anticoagulazione: gli inibitori del fattore XI. G Ital Cardiol 2023; 24:446-54.