
Il rischio di malattie cardiovascolari su base aterosclerotica è maggiore negli individui con diagnosi di ipercolesterolemia monogenica o poligenica? Uno studio pubblicato sul JAMA Cardiology ha provato a rispondere a tale domanda (1).
I ricercatori hanno valutato una coorte di 48.741 individui della UK Biobank, di cui erano noti i dati genetici. Questi sono stati reclutati dal 13 marzo 2006 all’1 ottobre 2010 e al momento dell’arruolamento sono stati sottoposti ad anamnesi, esame obiettivo e esami ematochimici (incluso il dosaggio dei lipidi nel sangue). Grazie all’analisi del genotipo dei pazienti sono stati individuati 277 (0,57%) pazienti affetti da ipercolesterolemia monogenica (LDLR, APOB e PCSK9), 2.379 (4,9%) affetti da ipercolesterolemia poligenica (valore superiore al 95% in un punteggio di rischio poligenico [PRS] composto da 223 varianti a singolo nucleotide) e 2.232 pazienti con un tipo di ipercolesterolemia senza un’alterazione genetica identificabile. L’età media della coorte era di 56,6 ± 8 anni e il 54,5% dei soggetti erano costituiti da donne (n = 26.541). I risultati hanno messo in evidenza un hazard ratio più elevato per i pazienti affetti da ipercolesterolemia monogenica rispetto agli altri pazienti (1,93; 95% CI, 1,34 – 2,77; p < 0,001). Inoltre, i soggetti affetti da ipercolesterolemia familiare avevano un rischio aumentato di incorrere in una malattia cardiovascolare prima dei 55 anni (17 su 277 pazienti [6,1%] vs 988 su 48.464 totali [2,0%]; p < 0,001). È invece risultato un hazard ratio inferiore nelle altre classi di pazienti: 1,26 per quelli affetti da ipercolesterolemia poligenica (95% CI, 1,03 – 1,55; p = 0,03) e ancor più basso per quelli che non presentavano una causa genetica chiara associata alla loro ipercolesterolemia. Sembrerebbe, perciò, che i soggetti affetti da ipercolesterolemia monogenica e poligenica abbiano un rischio maggiore rispetto a quelli con un’ipercolesterolemia senza una causa genetica identificabile.
In un editoriale di commento (2) Christopher O’Donnell – cardiologo del Brigham and Women’s Hospital di Boston (Massachusetts) – ha però sottolineato che “è rimasta irrisolta una questione fondamentale: se nelle persone affette da ipercolesterolemia la valutazione del rischio cardiovascolare fatta tramite analisi genetica sia alla pari o addirittura più accurata rispetto al dosaggio dell’LDL-C nel sangue”. Una limitazione, questa, ammessa anche dagli autori della ricerca, secondo i quali nello studio è mancato proprio un monitoraggio longitudinale dei lipidi nel sangue. Inoltre, secondo i ricercatori in futuro sarà necessario realizzare studi con campioni più grandi e con un PRS con un numero maggiore di varianti del singolo nucleotide.
Vasilica Manole
Bibliografia
1. Trinder M, Francis GA, Brunham LR, et al. Association of Monogenic vs Polygenic Hypercholesterolemia With Risk of Atherosclerotic Cardiovascular Disease. JAMA Cardiology 2020; doi:10.1001/jamacardio.2019.5954.
2. O’Donnell CJ. Opportunities and Challenges for Polygenic Risk Scores in Prognostication and Prevention of Cardiovascular Disease. JAMA Cardiology 2020. doi:10.1001/jamacardio.2019.6232