
Anche in Italia è arrivato il via libera per il quarto componente della famiglia degli anticoagulanti orali diretti, edoxaban. Il suo impiego nella pratica clinica è supportato da studi clinici che hanno evidenziato una superiorità in termini di sicurezza rispetto alla terapia standard con warfarin anche nei pazienti a più elevato rischio di sanguinamenti, inclusi i pazienti anziani e quelli con comorbidità.
Lo studio ENGAGE-AF TIMI 48 [1], nello specifico, ha valutato efficacia e sicurezza di edoxaban in monosomministrazione giornaliera per il trattamento della fibrillazione atriale non valvolare.
Il trial, che ha arruolato 21.105 pazienti, ha previsto la possibilità di ridurre il dosaggio (da 60 mg a 30 mg) non solo al momento della randomizzazione, ma anche nel corso dello studio, in base alla presenza di uno o più fattori di rischio quali insufficienza renale (CrCL compresa tra 30 e 50 mL/min), basso peso corporeo (uguale o inferiore a 60 Kg), o uso concomitante di determinati inibitori della glicoproteina P.
Il punto di forza dello studio, commenta Giuseppe Di Pasquale (U.O. Cardiologia, Ospedale Maggiore, Bologna), è rappresentato dal fatto che è stata testata la possibilità di ridurre il dosaggio senza ricorrere alle determinazioni plasmatiche del farmaco ma semplicemente in base a elementi clinici (disfunzione renale, CrCL tra 30 e 50 mL/min, basso peso corporeo, alcuni farmaci interferenti).
Giuseppe Patti (Università Campus Bio-Medico di Roma), inoltre, sottolinea i benefici della monosomministrazione che, rispetto alla stessa dose data in due somministrazioni giornaliere, si è associata a minori concentrazioni di valle del farmaco provocando una riduzione maggiore delle complicanze emorragiche proprio nei pazienti a più alto rischio. Il profilo di monosomministrazione -prosegue Patti-, unito ai risultati degli studi, rendono l’impiego di edoxaban particolarmente interessante nella popolazione di pazienti più anziani, soggetti a maggior rischio di stroke e di complicanze emorragiche.
Lo studio HOKUSAI-VTE [2] ha indagato l’efficacia di edoxaban nel trattamento e nella prevenzione delle recidive di tromboembolismo venoso ed embolia polmonare. Walter Ageno (Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi dell’Insubria, Varese) ha rimarcato che lo studio per la prima volta ha fornito un’idea di una popolazione con embolia polmonare a maggior rischio, unitamente a un dato molto forte di superiorità di edoxaban rispetto a warfarin in questa sottopopolazione. La riduzione del dosaggio nella popolazione più fragile risulta chiaramente in un grosso beneficio in termini di sicurezza.
Allo studio HOKUSAI-VTE va riconosciuto anche di aver considerato alcuni accorgimenti con l’obiettivo di riflettere la vita reale, come l’aggiustamento della dose nei pazienti più fragili, e di aver tentato di stratificare i pazienti con embolia polmonare, diversamente da quanto fatto precedentemente, arruolando il più numeroso gruppo di pazienti ad alto rischio.
Il comunicato Daiichi Sankyo
1. Giugliano RP, Ruff CT, et al. The ENGAGE AF-TIMI 48 Investigators. Edoxaban versus Warfarin in Patients with Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2013; 369:2093-2104
2. The HOKUSAI-VTE Investigators. Edoxaban versus Warfarin for the Treatment of Symptomatic Venous Thromboembolism. N Engl J Med 2013; 369:1406-1415