
L’equità nell’accesso alle prestazioni sanitarie e negli esiti degli interventi è ormai una dimensione tra le più considerate e importanti nella valutazione della performance dei sistemi sanitari. È il risultato di decenni di attività di ricerca intensa e qualificata, portata avanti soprattutto nei paesi anglosassoni, e negli ultimi decenni autorevolmente condotta anche in Italia, soprattutto in Regioni come il Piemonte, l’Emilia-Romagna, il Lazio. Sappiamo che le disuguaglianze nella salute sono pervasive e ben documentate: dannose per il sistema e non soltanto per i cittadini che più direttamente ne subiscono le conseguenze. Derivano da vari fattori e prendono forma diversa anche per l’intersecarsi di elementi ambientali, legali e sociali, come sottolineano gli autori di una viewpoint uscita sul JAMA Cardiology (1).
“Storicamente, l’applicazione di nuove terapie cardiovascolari è diminuita tra i pazienti di colore o di origine latina o appartenenti a gruppi socio-economicamente svantaggiati. Coerentemente con il ridotto accesso alle terapie cardiovascolari, lavori precedenti hanno trovato associazioni tra etnia e status socio-economico con un ridotto uso di interventi per le malattie cardiovascolari.” Gli autori fanno poi riferimento ai risultati di uno studio originale condotto dal loro gruppo dell’University of Pennsylvania sede di Filadelfia che ha valutato l’uso della sostituzione transcatetere della valvola aortica (TAVR). Ebbene, nelle grandi aree metropolitane i codici di avviamento postale con alte percentuali di pazienti di colore o latinoamericani e di pazienti che hanno diritto a Medicaid e Medicare avevano tassi più bassi di TAVR. Non si tratta di una novità, dal momento che disparità simili sono state riscontrate anche nella diffusione di procedure simili per complessità. “L’accesso preferenziale alle cure da parte delle comunità bianche e benestanti contribuisce al razzismo sistemico all’interno dell’assistenza sanitaria e può esacerbare le disparità nei risultati tra gruppi privilegiati e svantaggiati” affermano gli autori. Alcune considerazioni che leggiamo nella viewpoint lasciano stupefatti: in uno studio condotto su pazienti neri affetti da ipertensione i malati hanno sostenuto che i medici durante gli esami fisici evitavano il contatto fisico come componente principale della discriminazione percepita e della diminuzione della fiducia (2).
Come intervenire per mitigare – se non risolvere – il problema? Forse iniziando dal disegno degli studi clinici, dal momento che i pazienti appartenenti a gruppi razziali ed etnici minoritari sono molto sottorappresentati negli studi in ambito cardiovascolare e molti trial non riportano i dati stratificati per etnia. I comitati che coordinano gli studi clinici dovrebbero collaborare con le comunità e i gruppi storicamente emarginati – sostengono gli autori – così da garantire l’equità nell’arruolamento e la definizione di strategie per ridurre le barriere all’accesso. “Le agenzie regolatorie dovrebbero prendere in considerazione il monitoraggio degli esiti in coorti di pazienti che non ricevono i nuovi interventi cardiaci e monitorare direttamente il ricorso equo alle nuove terapie insieme ai tradizionali parametri di sicurezza e qualità”.
Bibliografia
1. Reddy KP, Eberly LA, Nathan AS. Inequities in access to structural heart disease Interventions. JAMA Cardiol 2023; 8(1): 5–6.
2. Greer TM. Perceived racial discrimination in clinical encounters among African American hypertensive patients. J Health Care Poor Underserved 2010; 21(1): 251-63.