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Desensibilizzazione pre-trapianto, il rischio di rigetto cala sensibilmente

By 12 Maggio 2017No Comments
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A cinquant’anni esatti dal primo trapianto di cuore, dati importanti suscitano l’interesse dell’ambiente cardiologico internazionale. Arrivano infatti conferme sul fatto che il rischio di rigetto post-trapianto cardiaco può essere ridotto sensibilmente desensibilizzando gli anticorpi del paziente. Lo afferma uno studio presentato all’evento ESC Heart Failure 2017, con annesso 4th World Congress on Acute Heart Failure, svoltosi a Parigi dal 29 aprile al 2 maggio.

Un team di ricercatori francesi coordinato da Guillaume Coutance dell’Hôpital Universitaire Pitié-Salpêtrière di Parigi ha avviato nel 2009 un programma di desensibilizzazione nei pazienti sottoposti a trapianto cardiaco e ha analizzato l’impatto di questo trattamento preventivo sui tassi di sopravvivenza post-trapianto tra 2009 e 2015.

Prima del trapianto i pazienti sono stati sottoposti ad analisi sierologiche per misurare i livelli di antigene leucocitario umano (HLA), che può legarsi all’HLA del donatore e causare il rigetto dell’organo trapiantato. Al momento del trapianto è stato condotto un crossmatch virtuale per determinare se gli anticorpi anti-HLA dei pazienti erano attivi contro gli antigeni HLA-specifici del donatore: in caso affermativo, sono stati denominati “donor specific anti-HLA antibody, DSA”. “La maggior parte dei centri non effettua trapianti in pazienti con elevati livelli di DSA a causa del rischio troppo alto di rigetto anticorpo-mediato”, spiega Guillaume Coutance. “In questo caso i pazienti sono costretti ad attendere un donatore con antigeni HLA differenti”.

Il tipo di desensibilizzazione che i 523 pazienti presi in esame all’Hôpital Universitaire Pitié-Salpêtrière (età media 50 anni, 77% maschi) hanno ricevuto dipendeva dai loro livelli di DSA, misurati con l’intensità di fluorescenza media (MFI). Una MFI tra 500 e 1000 è stata considerata “DSA bassa”, se superava 1000 “DSA alta”. Tutti i pazienti di base hanno ricevuto globulina anti-timociti e una terapia immunosoppressiva a base di inibitori della calcineurina, micofenolato mofetile e corticosteroidi). Oltre a questo, ai pazienti con bassa DSA sono state somministrate immunoglobuline endovena. I pazienti con DSA alta invece sono stati trattati con plasmaferesi prima e dopo il trapianto, seguita da immunoglobuline endovena. Il 46% dei pazienti non aveva DSA, il 17% DSA bassa, il 37% infine DSA alta.

Dopo un follow up medio di 3,7 anni si è constatato che i tassi di sopravvivenza erano del 73% nel gruppo senza DSA, 72% nel gruppo bassa DSA e 76% nel gruppo alta DSA (p=0,85). I rigetti anticorpo-mediati sono risultati più comuni nei pazienti con alta DSA (27% vs 6% del gruppo senza DSA): si è tratto di rigetti precoci – in media 28 giorni dopo il trapianto – e comunque trattabili, tanto che non hanno avuto impatto sui tassi di sopravvivenza. Commenta Coutance: “Il processo di desensibilizzazione rende la possibilità di sopravvivenza dei pazienti ad elevato rischio immunologico paragonabile a quella dei pazienti senza DSA. La plasmaferesi pre e post-trapianto induce un calo drammatico dei livelli di DSA, riducendo il rischio di rigetto, e la immunoglobuline endovena neutralizzano la DSA per settimane”. I buoni tassi di sopravvivenza si spiegano anche con la diagnosi precoce di rigetto grazie alle frequenti biopsie e con il trattamento aggressivo dei rigetti. “Questo programma di desensibilizzazione”, conclude Coutance, “ci permette di accorciare i tempi e di aumentare l’accesso al trapianto anche in pazienti ad elevato rischio immunologico”.

David Frati

▼ Risk of heart transplant rejection reduced by desensitising patient antibodies. ESC press release 1/5/2017.