
Zero autocritica: questa è una delle condizioni per progredire nella vita accademica. Ne è convinto Nicholas P. Holmes, ricercatore della Nottingham University, autore di una intrigante World View uscita su Nature online (1). “Gli incentivi della vita accademica sembrano richiedere che si abbandoni l’autocritica. I documenti li scriviamo dopo che i risultati sono noti, come se tutto avesse funzionato come previsto. I manoscritti sono spesso presentati senza riconoscerne i limiti; semmai li aggiungeremmo in seguito, se i referee lo chiedessero. Le linee guida per le domande di finanziamento offrono poche opportunità di parlare di errore, incertezza o fallimento. I candidati che fanno domanda di lavoro universitario raramente discutono di studi che non sono stati replicati, articoli rifiutati o domande di finanziamento che non hanno avuto successo. È come se qualsiasi ammissione di fallibilità potesse suscitare reazioni da parte dei revisori. Ma un record scientifico che comprenda solo i successi è incompleto. Il fallimento, l’errore, la riflessione e l’autocorrezione sono resi noti troppo raramente. Se non siamo onesti sui nostri errori, il progresso scientifico sarà rallentato”.
È una questione, purtroppo, sistematicamente sottovalutata: qualcosa che finisce sempre sotto il tappeto del salotto buono della medicina accademica. “Il Venerdì Santo di quest’anno, tradizionalmente un momento di autoriflessione nel calendario cristiano, ho iniziato a criticare la mia documentazione scientifica – ha raccontato Holmes – scrivendo qualcosa di critico su ciascuna delle mie pubblicazioni. […] In 57 tweet ho ricordato le cose peggiori di ciascuna delle mie pubblicazioni. Cosa ho sbagliato, cosa non ripeterei, cosa funzionerebbe meglio”.
Criticarsi = migliorarsi
L’autocritica nella scienza è auspicabile, quindi un sistema che scoraggia gli autori dal farlo ha bisogno di essere corretto. Come dovremmo iniziare? “Per iniziare, sii il critico più severo di te stesso. Sui social media o su PubPeer, sii esplicito sui punti deboli del tuo lavoro. Quando critichi gli altri, ricorda i tuoi fallimenti, gli obblighi e gli incentivi che ti hanno spinto. Se scopri errori gravi, sii disposto a correggere o ritirare il frutto del tuo lavoro”. Della stessa idea è anche l’ingegnere informatico, scrittore e fotografo (nonché “esperto universale”, come si autodefinisce) Danny Forest, autore di un post su Medium – poi tradotto in italiano da Forward (2) – in cui descriveva i benefici del tenere un “diario degli insuccessi”: “Anche se raccontare i propri errori potrebbe non sembrare così piacevole come riportare le proprie vittorie, è un’operazione potente. Non solo ti aiuta a ricordare gli errori fatti in modo da essere meno portati a ripeterli, ma ti permette anche di mettere una distanza rispetto alle emozioni legate ai fallimenti e di scoprire quale lezione apprendere da ciascuno di essi”.
L’autocritica come elemento di valutazione
Secondo Holmes, tuttavia, questo livello di autocritica dovrebbe andare oltre la sfera personale: anche i sistemi di pubblicazione, di finanziamento e le assunzioni dovrebbero alimentare e premiare l’onestà dei ricercatori nei confronti dei propri insuccessi: “Alle persone che fanno domanda di fondi per la ricerca potrebbe essere richiesto di includere critiche sul proprio lavoro e di affrontare esplicitamente ipotesi alternative. Coloro che hanno la fortuna di ricevere finanziamenti dovrebbero quindi riferire sugli errori e sui fallimenti del progetto, non solo sui suoi risultati e successi. Dare la caccia alle nostre debolezze ci renderà scienziati migliori. Nel 2019, la mia istituzione, la Nottingham University nel Regno Unito, ha firmato la Dichiarazione di San Francisco sulla valutazione della ricerca. Questo ci ha impegnato a smettere di usare l’impact factor e metriche simili per valutare le persone e ha cambiato i nostri criteri di assunzione, valutazione e promozione. Per andare avanti con questi miglioramenti, potremmo chiedere ai candidati di impegnarsi nell’attività di autocritica, dire cosa farebbero ora in modo diverso. Potremmo richiedere un curriculum al contrario: un elenco di domande respinte e documenti respinti».
Bibliografia
1. Holmes NP. I critiqued my past papers on social media: here’s what I learnt. Nature 2021; 12 luglio.
2. Forest D. Perché è utile un “diario degli insuccessi”. In/successo. Recenti ProgMed 2020; 111 (Suppl. Forward): 10.