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Atleti con cardiopatie genetiche, ritornare a fare sport si può

A cura di Fabio Ambrosino By 7 Marzo 2023No Comments
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Gli atleti professionisti o di alto livello affetti da cardiopatie genetiche diagnosticate e trattate non devono smettere necessariamente di fare sport.

È questa la conclusione di un gruppo di ricercatori della Mayo Clinic di Rochester che ha analizzato retrospettivamente l’incidenza di eventi cardiaci in un gruppo di atleti affetti da patologie genetiche al fine di valutare i rischi associati a un ritorno alle gare.

I risultati, presentati ieri al meeting annuale dell’American College of Cardiology (ACC.23), organizzato in collaborazione con la World Heart Federation, rappresentano una svolta epocale nella gestione di questi casi.

“Questo set iniziale di dati racconta una storia di speranza e incoraggiamento”, ha affermato Katherine A. Martinez, studentessa di medicina che ha condotto lo studio nel corso di un tirocinio presso il Mayo Clinic Windland Smith Rice Sudden Death Genomics Laboratory. “Con un processo decisionale condiviso e un’adeguata stratificazione del rischio da parte di un esperto, qulsiasi sportivo di qualsiasi età può vivere e prosperare nonostante la diagnosi”.

Lo studio è infatti il primo a valutare il rischio di aritmie potenzialmente fatali in atleti d’elite affetti da patologie associate a un rischio elevato di morte cardiaca improvvisa, quali una cardiomiopatia ipertrofica o una sindrome del QT lungo.

Sono state analizzate retrospettivamente le cartelle cliniche di 76 atleti tra professionisti (36%) e sportivi della National College Athletic Association (NCAA) Division I (64%), organizzazione che gestisce le attività sportive di 1100 college e università negli Stati Uniti, in Porto Rico e in Canada. Tra questi, il 53% era affetto da cardiomiopatia ipertrofica e il 26% da sindrome del QT lungo.

I soggetti praticavano sport diversi quali calcio, pallacanestro, hockey e  triathlon ed erano per il 28% di sesso femminile. Dei 76 partecipanti, 55 erano stati inizialmente indicati come non idonei all’attività sportiva.

Il 63% dei soggetti non aveva avuto sintomi prima della diagnosi, la quale era stata effettuata in seguito all’emergere di risultati anomali agli esami di screening previsti per l’attività agonistica. I restanti, invece, si dividevano equamente tra coloro che erano stati diagnosticati in seguito al manifestarsi di sintomi (svenimenti, palpitazioni, dispnea) e coloro che presentavano familiarità per una cardiopatia ereditaria. Il 30% degli atleti considerati era portatore di un defibrillatore impiantabile (ICD).

Dai risultati è emerso che, a un follow up medio di 7 anni, solo tre atleti (4%) sono andati incontro a un evento cardiaco non fatale innescato dalla patologia genetica sottostante, spesso uno svenimento. In uno di questi tre casi, l’ICD è entrato in azione somministrando uno shock appropriato. Non sono stati registrati decessi.

I ricercatori concludono quindi l’importanza, nella scelta di ritornare all’attività sportiva dopo una diagnosi di cardiopatia genetica, di un processo decisionale condiviso tra atleta, cardiologo genetista e cardiologo dello sport.

“In genere le linee guida dicono che non puoi fare nulla a meno che il tuo cuore non sia perfetto – ha commentato Micheal Ackerman, cardiologo genetista della Mayo Clinic e responsabile dello studio – ma questi risultati suggeriscono che è arrivato il momento di cambiare questo messaggio. I medici dovrebbero incoraggiare la maggior parte dei pazienti a fare esercizio. Non è ‘puoi o non puoi fare sport’ ma ‘cerchiamo il modo giusto per te di fare sport’”.

Eventi tragici accaduti a personaggi illustri – si veda ad esempio il caso del calciatore Christian Eriksen – possono influenzare la percezione del rischio associato alle cardiopatie genetiche, limitando in modo eccessivo le possibilità degli sportivi affetti da queste patologie. Secondo i ricercatori della Mayo Clinic i risultati di questo studio enfatizzano invece l’importanza di rispettare l’autonomia del singolo individuo, utilizzando le evidenze scientifiche per prendere decisioni informate ed etiche.