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Arresto cardiaco negli atleti. Cos’è successo a Christian Eriksen?

A cura di Fabio Ambrosino By 14 Giugno 2021Ottobre 1st, 2021No Comments
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Tutti abbiamo visto le drammatiche immagini del malore del 29enne trequartista danese Christian Eriksen, vittima di un arresto cardiaco nel corso della partita di sabato Danimarca-Finlandia, valida per i campionati europei di calcio. Fortunatamente, grazie al tempestivo intervento dello staff medico della nazionale danese il giocatore è stato rianimato e trasportato in ospedale ed è ora, secondo i comunicati ufficiali, in condizioni stabili.

“I report preliminari suggeriscono che, proprio mentre veniva trattato sul campo da gioco, il cuore di Christian si sia fermato”, ha commentato oggi, in una nota ufficiale, il Presidente dell’European Society of Cardiology Stephan Achenbach. “È stato molto fortunato che ci fosse un team medico che ha immediatamente cominciato le compressioni del petto e mantenuto il flusso sanguigno. Probabilmente è questo che gli ha salvato la vita”.

Caso Eriksen: le possibili cause dell’arresto cardiaco

Ma cos’è accaduto al cuore del 29enne trequartista della Danimarca e dell’Inter? “Le immagini mostrano chiaramente che il ragazzo è stato in arresto cardiaco – ci spiega Alessandro Zorzi, co-chairman dell’Area Arresto cardiaco extraospedaliero dell’Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC) –, c’è un video in cui si vede chiaramente il calciatore mentre viene defibrillato, quindi è ampiamente probabile che la causa di questo evento sia stata un’aritmia ventricolare come una tachicardia ventricolare rapida o una fibrillazione ventricolare. Tuttavia senza conoscere la cartella del paziente è impossibile stabilire con certezza quale sia la patologia cardiaca che ha scatenato l’aritmia”.

Le condizioni che possono determinare un arresto cardiaco in atleti come Eriksen sono infatti molteplici. Nella maggior parte dei casi il motivo scatenante è una sottostante cardiopatia, che può essere nota o ignota. Se nei soggetti con un’età superiore ai 35 anni tale condizione cardiaca è in molti casi una coronaropatia aterosclerotica, in quelli di età inferiore – come Eriksen appunto – la causa più comune è solitamente un’anomalia cardiovascolare genetica o un’altra condizione acquisita (1).

Tra le patologie ereditarie con associate anomalie strutturali quelle riscontrate più di frequente sono la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, la cardiomiopatia dilatativa e la cardiomiopatia ipertrofica ma possono anche essere presenti valvulopatie e aortopatie. Nei pazienti senza anomalie strutturali, invece, le cause genetiche più comuni risultano essere canalopatie quali la sindrome di Brugada, la tachicardia ventricolare poliformica catecolergica, la fibrillazione ventricolare idiopatica o la sindrome del QT lungo. Prendendo in considerazione le condizioni acquisite, invece, in presenza di anomalie strutturali le più frequenti sono la cardiopatia ischemica e la miocardite mentre in caso di cuore strutturalmente sano le cause più frequenti sono la commotio cordis, l’abuso di sostanze e altri fattori ambientali come l’ipotermia o l’ipertermia.

Perché in alcuni atleti si verificano episodi di questo tipo?

“La maggior parte dei soggetti che hanno una cardiomiopatia a rischio viene intercettata con le visite mediche”, spiega Zorzi. Il nostro Paese, in particolare, è decisamente all’avanguardia in termini di prevenzione della morte cardiaca improvvisa negli atleti. In Italia vige infatti uno dei sistemi di screening più accurati del mondo, che non si limita agli atleti professionisti ma coinvolge anche chi fa attività sportiva a livello dilettantistico. “Non a caso negli ambulatori dove ci occupiamo di cardiopatie genetiche uno dei fattori principali che permette di fare diagnosi è proprio la medicina dello sport“.

“Tuttavia una parte di patologie a rischio di arresto cardiaco e morte improvvisa non sono identificabili con lo screening”. Ad esempio, un soggetto che non mostra alterazioni particolari al momento dello screening potrebbe contrarre successivamente una miocardite in grado di determinare un’instabilità elettrica e un arresto cardiaco. In altri casi, invece, la patologia sottostante non può essere identificata attraverso gli esami previsti dalla visita medica sportiva, come l’elettrocardiogramma da sforzo, ma necessiterebbe di esami più complessi, come la risonanza magnetica cardiaca, che non vengono svolti in sede di screening.

Le visite medico-sportive riducono di molto il rischio ma non possono azzerarlo”, aggiunge Zorzi. “Bisogna poi ricordare che esiste un quota non irrilevante di arresti cardiaci che si verifica in cuori perfettamente normali. Casi in cui non emergono alterazioni, anche facendo analisi post-evento. Questo dimostra che ci sono aspetti del fenomeno che non sono ancora del tutto chiari”.

Arresto cardiaco extra-ospedaliero: l’importanza di un intervento tempestivo

“La prima cosa da fare è diagnosticare correttamente l’arresto cardiaco – spiega Zorzi – cioè capire che non si tratta di un semplice svenimento”. In casi come l’arresto cardiaco che ha colpito Eriksen, tuttavia, la tempestività costituisce un elemento fondamentale. Le linee guida relative riguardanti queste situazioni sono quindi diventate progressivamente più semplici,  con l’obiettivo di  ridurre quanto più possibile il tempo che intercorre tra l’arresto cardiaco e il momento in cui si cominciano le manovre rianimatorie.

Per questo motivo nella nota dell’European Society of Cardiology sono riportate anche delle semplici indicazioni e istruzioni utili a reagire in modo corretto in caso di arresto cardiaco, anche in caso di soccorso effettuato da personale non qualificato. Nello specifico vengono indicati tre situazioni in cui bisogna sospettare un caso di arresto cardiaco:  quando la persona non respira o annaspa, quando non riesce a muoversi o a sbattere le palpebre, quando non risponde alle stimolazioni (assenza di coscienza). In questi casi, si legge nella nota, è necessario:

  • premere con forza al centro del petto a un ritmo di 100-200 spinte al minuto, facendo in modo che il petto ritorni alla posizione iniziale dopo ogni spinta;
  • urlare a qualcuno di chiamare un’ambulanza;
  • chiedere ai passanti di localizzare un defibrillatore esterno automatico e seguire le istruzioni.

Contrariamente a quanto si legge sui giornali, invece, risulta essere inutile la procedura di apertura della bocca e successiva estrazione della lingua messa in atto, nel caso di Eriksen, dal capitano della Danimarca Simon Kjær. Al contrario, alcuni autori sostengono che questa pratica costituisce l’ostacolo maggiore nel tentativo di resuscitare l’atleta vittima di un arresto cardiaco (2).

“Si tratta di un’azione che non rientra in nessun protocollo ormai da anni – conclude Zorzi –, perché nessuno si soffoca a causa dell’arrotolamento della lingua. È sufficiente mettere la persona in posizione supina e tirarle leggermente indietro la testa. Questo testimonia la non conoscenza, da parte della popolazione generale, dei più banali protocolli di rianimazione. Sarei rimasto più impressionato se i calciatori avessero saputo mettere in atto correttamente le prime fasi della rianimazione piuttosto che avviare manovre che non hanno alcun razionale scientifico”.

UPDATE:

15-06-2021: Ieri Eriksen ha pubblicato sul suo profilo Instagram una foto che lo vede sorridente e ha rassicurato i suoi follower circa le sue attuali condizioni di salute: “Ciao a tutti. Grazie per i dolci e incredibili saluti e messaggi provenienti da tutto il mondo. Significano molto per me e la mia famiglia. Sto bene, date le circostanze. Devo ancora fare degli esami in ospedale ma mi sento bene. Ora tiferò per i ragazzi della Danimarca nelle prossime partite. Giocate per tutta la Danimarca”.

17-06-2021: Lo staff medico della nazionale danese ha comunicato attraverso un tweet che, in seguito alle opportune valutazioni, si è deciso di sottoporre Eriksen all’impianto di un defibrillatore.

Fabio Ambrosino 

Bibliografia

1. Maron BJ. Sudden death in young athlethes. N Eng J Med 2003; 11;349(11):1064-75.
2. Viskin D, Rosso R, Havakuk O, et al. Attempts to prevent “tongue swallowing” may well be the main obstacle for successful bystander resuscitation of athletes with cardiac arrest. Heart Rhythm 2017; 14(11): 1729-1734.