
“Integrare nel complesso modello di gestione avanzata dell’arresto cardiaco extraospedaliero i principali snodi operativi della catena di sopravvivenza”. È questo l’auspicio di Alessandro Proclemer, Direttore del Registro Italiano Pacemaker e Defibrillatori dell’Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC) e autore di un articolo di commento sul tema pubblicato recentemente sul Giornale Italiano di Cardiologia (1).
La gestione dell’arresto cardiaco extraospedaliero impatta molto sulla salute pubblica. Gli studi epidemiologici più recenti mostrano un numero costante ed elevato di nuovi casi, la cui stima si attesta intorno ai 300.000 ogni anno negli Stati Uniti, ai 275.000 in Europa e ai 550.000 in Cina (2,3,4). Sebbene negli ultimi tempi la prognosi sia migliorata (fino a pochi anni fa il tasso di sopravvivenza dopo rianimazione polmonare e successivo a ricovero era inferiore al 10%) (5), secondo Proclemer esistono ancora ampi margini di miglioramento nella gestione di questi eventi, sia a livello preospedaliero che ospedaliero.
La gestione dell’arresto cardiaco extraospedaliero sul territorio
Nell’ambito della gestione preospedaliera alcune iniziative si sono dimostrate molto efficaci nel migliorare gli outcome dei pazienti con arresto cardiaco extraospedaliero. L’anno scorso, ad esempio, sono stati pubblicati i dati – inclusi nel registro nazionale danese – relativi agli effetti di una vasta campagna di diffusione della rianimazione polmonare (RCP) effettuata dai testimoni (6). I risultati, relativi a 19.468 soggetti andati incontro a un arresto cardiaco extraospedaliero tra il 2001 e il 2010, hanno messo in evidenza una crescente applicazione della RCP nel corso nel decennio (da 21,1% a 44,9%), a cui è corrisposto un aumento della sopravvivenza al successivo ricovero (da 7,9% a 21,8%), a 30 giorni (da 3,5% a 10,8%) e a un anno di follow up (da 2,9% a 10,2%). A risultati analoghi, poi, è giunto anche uno studio del Resuscitation Outcomes Consortium (ROC) in un’area complessiva di 24 milioni di abitanti (7).
“È importante sottolineare – scrive Proclemer – che in entrambi gli studi non viene affermato un rapporto causa-effetto certo tra diffusione della RCP da parte degli astanti e la successiva sopravvivenza, in quanto nello stesso periodo venivano utilizzate altre soluzioni terapeutiche in grado di migliorare la prognosi nelle vittime di arresto cardiaco extraospedaliero”.
Un’altra iniziativa che sembra associarsi a un miglioramento della prognosi è la diffusione sul territorio dei defibrillatori semi-automatici (DAE) e al loro impiego da parte di personale qualificato. Uno studio olandese condotto tra il 2006 e il 2012 su 6.133 vittime di arresto cardiaco extraospedaliero, ad esempio, ha messo in evidenza un aumento dell’utilizzo del DAE da parte delle forze dell’ordine e dei vigili del fuoco nei primi 6 minuti dall’evento (da 21,4% a 59,3%), a cui è corrisposto un aumento della sopravvivenza dal 16,2% al 19,7% nell’intero gruppo dei pazienti e dal 29,1% al 41,4% di quelli con un evento secondario a ritmo defibrillabile (8). A conclusioni simili sono poi giunte anche altre analisi condotte in Danimarca e in Italia (9,10).
La gestione dell’arresto cardiaco extraospedaliero in ospedale
Le linee guida prodotte dalle più importanti società scientifiche internazionali negli ultimi vent’anni sottolineano l’importanza delle cure post-arresto cardiaco per trattare le cause dell’evento e mitigare il danno secondario alle fasi di ischemia e riperfusione post-arresto (11). Queste riguardano, ad esempio, la gestione farmacologica per il mantenimento della stabilità emodinamica, le strategie dedicate a indurre un’ipotermia terapeutica tra 32°C e 36°C nelle prime 24 ore dopo l’arresto e a evitare la successiva ipertermia, le diagnosi e le terapie neurologiche per la prevenzione e il trattamento degli stati epilettici post-arresto, la gestione dell’assistenza respiratoria al fine di evutare iopssia o iperossia, il mantenimento dell’equilibrio metabolico, il precoce trattamento degli stati infettivi o la valutazione prognostica di recupero neurologico.
Inoltre, come sottolinea Proclemer, diverse evidenze scientifiche hanno messo in evidenza i benefici associati alla gestione dei pazienti con arresto cardiaco extraospedaliero da parte di team esperti, supportando l’attivazione di centro ospedalieri di riferimento (11,12). È stato infatti dimostrato che un organizzazione di questo tipo si associa, a fronte di un allungamento dei tempi di trasporto, a outcome clinici significativamente migliori (13).
“Nella realtà italiana tali centri si identificano con gli ospedali che operano come ‘Hub’ in stretto collegamento con i centri ospedalieri ‘Spoke’ per il trattamento avanzato dei pazienti con sindromi coronariche acute, con aritmie maligne e/o storm aritmici, con shock cardiogeno e con le altre principali patologie acute cardiovascolari”. Centri, questi, che secondo il Direttore del Registro Italiano Pacemaker e Defibrillatori dell’AIAC dovrebbero essere dotati di laboratori di cardiologia interventistica, di elettrofisiologia avanzata, possibilmente di cardiochirurgia in sede o in rete e di terapie intensive con adeguata esperienza.
Per una gestione integrata tra territorio e ospedale
Proclemer conclude riportando un’esperienza di integrazione tra gestione preospedaliera e ospedaliera dell’arresto cardiaco extraospedaliero, quella relativa al sistema di emergenza territoriale 118 operante nell’area metropolitana di Bologna (14). In linea con le linee guida internazionali, infatti, nel territorio del capoluogo emiliano è stato sviluppato un modello di gestione integrata che sta ottenendo ottimi risultati. In termini di esiti, ad esempio, è stato riportato che il 31,2% dei pazienti rianimati è stato ammesso vivo in ospedale e il 17,9% è stato successivamente dimesso o trasferito in altre strutture.
“È sorprendente che a fronte di un elevato impatto nella sanità pubblica di un evento così drammatico come l’arresto cardiaco extraospedaliero, gli investimenti da parte delle autorità sanitarie e gli studi randomizzati patrocinati in tale ambito siano stati fino ad un recente passato meno rappresentati rispetto ad altre importanti patologie, come le sindromi coronariche acute, lo scompenso cardiaco e l’ictus. Questa tendenza ha sicuramente limitato la diffusione su larga scala di percorsi integrati tra territorio ed ospedale ai fini di una cura avanzata delle vittime di arresto cardiaco extraospedaliero”.
Fabio Ambrosino
Bibliografia
1. Proclemer A. La gestione integrata tra territorio ed ospedale dell’arresto cardiaco extraospedaliero: l’unione fa la forza. G Ital Cardiol 2022; 23(1): 40-42.
2. Virani SS, Alonso A, Benjamin EJ, et al. Heart Disease and Stroke Statistics – 2020 update: a report from the American Heart Association. Circulation 2020;141:e139-596
3. Atwood C, Eisenberg MS, Herlitz J, Rea TD. Incidence of EMS-treated out-of-hospital cardiac arrest in Europe. Resuscitation 2005;67:75-80.
4. Xu F, Zhang Y, Chen Y. Cardiopulmonary resuscitation training in China: current situation and future development. JAMA Cardiol 2017;2:469-70.
5. Ornato JP, Becker LB, Weisfeldt ML, Wright BA. Cardiac arrest and resuscitation: an opportunity to align research prioritization and public health need. Circulation 2010; 122:1876-9.
6. Wissenberg M, Lippert FK, Folke F, et al. Association of national initiatives to improve cardiac arrest management with rates of bystander intervention and patient survival after out-of-hospital cardiac arrest. JAMA 2013;310:1377-84.
7. Daya MR, Schmicker RH, Zive DM, et al. Out-of-hospital cardiac arrest survival improving over time: results from the Resuscitation Outcomes Consortium (ROC). Resuscitation 2015; 91:108-15.
8. Blom MT, Beesems SG, Homma PC, et al. Improved survival after out-of-hospital cardiac arrest and use of automated external defibrillators. Circulation 2014; 130:1868-75.
9. Kragholm K, Wissenberg M, Mortensen RN, et al. Bystander efforts and 1-year outcomes in out-of-hospital cardiac arrest. N Engl J Med 2017;376:1737-47.
10. Capucci A, Aschieri D, Guerra F, et al. Community-based automated external defibrillator only resuscitation for out-of-hospital cardiac arrest patients. Am Heart J 2016;172:192-200.
11. Perkins GD, Graesner JT, Semeraro F, et al. European Resuscitation Council Guidelines 2021: executive summary. Resuscitation 2021;161:1-60.
12. Lipe D, Giwa A, Caputo ND, et al. Do out-of-hospital cardiac arrest patients have increased chances of survival when transported to a cardiac resuscitation center? J Am Heart Assoc 2018; 7:e011079.
13. Karasek J, Seiner J, Renza M, et al. Bypassing out-of-hospital cardiac arrest patients to a regional cardiac center: Impact on hemodynamic parameters and outcomes. Am J Emerg Med 2021;44:95-9.
14. Semeraro F, Casella G, Gamberini L, et al. È il momento per implementare i Centri per l’Arresto Cardiaco in Italia? L’esperienza integrata nel decennio 2009-2019 tra area metropolitana ed Ospedale Maggiore di Bologna. G Ital Cardiol 2022;23:29-39.