Le donne con Malattia di Anderson-Fabry, patologia a trasmissione X-linked causata da un deficit dell’enzima alfa-galattosidasi che determina un accumulo lisosomiale di glicosfingolipidi, sono state a lungo considerate portatrici sane della mutazione. In realtà anche le pazienti di sesso femminile possono manifestare i sintomi tipici della malattia, anche se spesso in forma più lieve rispetto ai maschi, con un esordio più tardivo e una progressione più lenta. Ne abbiamo parlato con Elena Biagini dell’Unità Operativa di Cardiologia – Galie del Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna.
L’espressione fenotipica nelle donne è infatti fortemente influenzata dal fenomeno della “lyonizzazione”: l’inattivazione casuale di uno dei due cromosomi X delle cellule somatiche. A seconda del numero di X inattive, quindi, la donna eterozigote con Malattia di Anderson-Fabry può presentare una grande variabilità nell’espressione clinica del fenotipo, da un quadro di normalità a uno caratterizzato da una sintomatologia conclamata.
Per quanto riguarda il coinvolgimento cardiaco, anche nella donna l’ipertrofia ventricolare rappresenta la manifestazione fenotipica più frequente della Malattia di Anderson-Fabry, anche se con una prevalenza lievemente più bassa e un esordio più tardivo rispetto ai pazienti di sesso maschile. “L’ipertrofia ventricolare progredisce nel tempo e porta a un vero e proprio fenotipo di cardiomiopatia ipertrofica – spiega Biagini – con un’ipertrofia che può essere simmetrica ma anche asimmetrica o a distribuzione medio-apicale”.
Il riscontro di aritmie, invece, è paragonabile per quanto la fibrillazione atriale cronica e parossistica – con un’incidenza pari rispettivamente a 14% e 4% in entrambi i sessi – mentre è ridotto nelle donne per quanto riguarda le tachicardie ventricolari non sostenute. “L’entità del danno d’organo cardiaco è il principale determinante della prognosi”, conclude Biagini. “Per quanto riguarda la terapia oggi siamo di fronte a un grande cambio di passo in quanto abbiamo la consapevolezza che una terapia precoce determina una miglior risposta alla terapia in termini di danno d’organo”.
Fabio Ambrosino
Bibliografia
1. Biagini E, Berardini A, Graziosi M, et al. “Effetto donna” nelle cardiomiopatie. G Ital Cardiol 2012;13(6):424-431