
La malattia di Anderson-Fabry è una patologia rara causata da una mutazione del gene che codifica per un enzima coinvolto nel catabolismo fisiologico dei glicosfingolipidi – l’alfa-galattosidasi A – e caratterizzata da manifetazioni cliniche che in molti casi coinvolgono l’apparato cardiovascolare. Ne abbiamo parlato con Andrea Frustaci del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Nefrologiche, Respiratorie e Geriatriche della Sapienza Università degli Studi di Roma, il quale ci ha offerto – con l’aiuto di ricostruzioni grafiche e immagini – una panoramica degli aspetti patogenetici, epidemiologici e terapeutici di questa patologia.
Caratterizzata da un coinvolgimento multisistemico e multiorgano, la malattia di Anderson-Fabry può determinare manifestazioni a livello neurologico, cutaneo e oftalmico. Tuttavia, le principali caratteristiche cliniche sono spesso rappresentate dall’insufficienza renale e dalle conseguenze riscontrabili a livello dell’apparato cardiovascolare e cerebrovascolare. “La malattia di Anderson-Fabry produce una cardiomiopatia ipertrofica difficile da distinguere da altre malattie genetiche che simulano questa condizione, come la cardiomiopatia ipertrofica di tipo sarcomerico, la malattia di Danon, la sindrome PRKAG2, l’amiloidosi cardiaca, la fibrosi endomiocardica e la sindrome di Loeffler”, spiega Frustaci.
Esistono però dei trattamenti specifici per la malattia di Anderson-Fabry, come la terapia enzimatica sostitutiva o la terapia chaperonica, in grado di agire in modo efficace sugli aspetti cardiaci della patologia: “Nelle forme iniziali di malattia (pazienti con spessore cardiaco inferiore o uguale a 13 mm) i due trattamenti si rivelati in grado di bloccare o di ridurre moltissimo l’evoluzione della malattia”. La necessità di identificare il più precocemente possibile il danno cardiaco e la possibilità di valutare l’effetto dei trattamenti rimangono quindi le sfide più importanti da affrontare nell’ambito di questa patologia.
Il cardiologo è però coinvolto anche in altri aspetti della gestione del paziente con malattia di Anderson-Fabry, dalla diagnosi differenziale alla stadiazione del grado di coinvolgimento cardiaco, dalla scelta del trattamento al monitoraggio delle possibili interazioni con altre terapie cardiologiche. Un elemento che necessita particolare attenzione, infine, è la gestione delle pazienti di sesso femminile: “L’accumulo di glicosfingolipidi nel cuore delle donne – conclude Frustaci – non avviene in maniera omologa in tutte le cellule cardiache perché a causa della ionizzazione solo una delle due X presenti nella donna risulta essere affetta, quindi si assiste, a livello istologico, al cosiddetto mosaicismo cellulare: la coesistenza di cellule affette e non affette”.
Fabio Ambrosino