
Con l’arrivo dell’estate è tempo di iniziare a pensare alle vacanze. Come dimostrano i risultati di diverse analisi, ogni anno sono sempre di più le persone che scelgono di recarsi in zone di montagna. Un’abitudine, questa, che per moltissime persone costituisce una componente importante della qualità di vita.
Capita spesso quindi che i pazienti cardiopatici interroghino il cardiologo sui rischi che corrono a recarsi in montagna. Ne abbiamo parlato con Stefano Savonitto, cardiologo della Clinica San Martino di Malgrate (LC) e autore insieme a Luigi Piatti (Ospedale Alessandro Manzoni di Lecco) di una rassegna dedicata pubblicata come anticipazione sul sito del Giornale Italiano di Cardiologia (1).
Quali sono le principali modificazioni che avvengono nel sistema cardiovascolare quando ci si trova in alta quota?
L’effetto di minore importanza è proprio quello dell’altitudine. Se parliamo di altitudini alpine, non himalayane, a riposo succede abbastanza poco. Ovviamente sotto sforzo aumentano il consumo di ossigeno e la pressione arteriosa, ma questo vale anche a bassa quota quando si fa una corsa o si salgono le scale. Se poi si fa uno sforzo a 3.000/3.500 metri di altitudine, la pressione arteriosa è in genere leggermente più elevata, come abbiamo dimostrato già trent’anni fa con uno studio fatto sul Monte Bianco (2). Si verifica una riduzione della tolleranza allo sforzo, insomma: la capacità di produrre lavoro si riduce e aumenta la frequenza del respiro.
La riduzione della tolleranza allo sforzo si mantiene durante tutta la permanenza a quote elevate?
Si riduce soprattutto nelle prime giornate, poi subentrano dei meccanismi di adattamento. In particolare, aumenta la capacità dell’emoglobina di cedere ossigeno ai muscoli periferici e nel giro di una decina di giorni si ritorna a valori sovrapponibili a quelli che si registrano a bassa quota. A dimostrazione di questo anche in occasione delle Olimpiadi di Città del Messico, che sono state fatte a 2000 metri di altitudine, sono stati battuti dei record. Nelle gare di velocità i tempi erano persino leggermente inferiori per effetto della minor resistenza dell’aria.
Un altro meccanismo di adattamento che si riscontra a quote elevate è la stimolazione della produzione di globuli rossi e di eritropoietina (EPO). Non a caso in molti sport, specie se di resistenza, le squadre vanno spesso ad allenarsi in quota nelle giornate precedenti una gara. Basta un mese e si acquisisce una tolleranza allo sforzo aerobico superiore rispetto all’allenamento a bassa quota.
Per quanto riguarda i soggetti cardiopatici, invece, andare in montagna comporta dei rischi?
Sostanzialmente nessuno ha mai dimostrato che l’altitudine comporti dei rischi per i cardiopatici. A parità di sforzo, infatti, non si rileva una maggiore incidenza di infarto miocardico: uno studio che aveva valutato le operazioni di soccorso effettuate in elicottero in territorio nepalese, pubblicato sul JAMA, mostrava chiaramente che queste non riguardano quasi mai casi di morte cardiaca improvvisa o di infarto miocardico (3). Di fatto questi eventi non si verificano in maniera più frequente in montagna. Ci sono poi studi in cui si è andati a analizzare questa relazione in modo specifico ma riguardano quasi sempre la pratica sportiva. In termini di risposte cardiovascolari, comunque, è più temibile l’effetto del freddo, per effetto delle variazioni vasocostrittive.
Per i cardiopatici è quindi consigliabile andare in montagna in estate piuttosto che in inverno?
Nei pazienti con cardiopatia ischemica, con una riduzione importante della riserva coronarica, il freddo può determinare una scarsa tolleranza allo sforzo. Quindi a basse temperature questi pazienti possono manifestare prima sintomi dell’angina rispetto a un ambiente più caldo. Il freddo è però un fattore che oggi è più controllabile di una volta. Negli ultimi anni la qualità dell’abbigliamento tecnico è aumentata notevolmente. Oggi esistono vestiti realizzati con materiali sintetici che pesano venti grammi e si asciugano in cinque minuti. Lo stesso vale per gli scarponi: sono tutti di plastica o goretex, perfettamente idrorepellenti. Se poi si ha in programma una vacanza a Cortina d’Ampezzo e sono previsti dieci gradi sotto lo zero forse è meglio spostare le ferie.
Il pericolo maggiore per chi ha una malattia cardiovascolare è quindi quello di trovarsi in una zona remota, difficilmente raggiungibile dai soccorsi?
Sì, ma è lo stesso rischio che si corre ad andare in vacanza alle Isole Tremiti, per fare un esempio. È il problema delle aree remote. Purtroppo, eventi come l’infarto miocardico sono totalmente imprevedibili da un punto di vista stocastico quindi è difficile dare indicazioni in termini di prevenzione primaria.
Esistono però delle linee guida su questo tema. Pensa che le raccomandazioni che propongono siano ragionevoli?
Di linee guida ce ne sono diverse. Dal mio punto di vista quelle dell’Union Internationale des Associations d’Alpinisme sono di buon livello, così come il Joint Statement prodotto dall’European Society of Cardiology, l’European Society of Hypertension, l’International Society of Mountain Medicine, l’Italian Society of Hypertension e l’Italian Society of Mountain Medicine (4,5). Le ultime linee guida dell’American Heart Association, invece, mi sembrano un po’ troppo difensive (6). In ogni caso le raccomandazioni delle linee guida su questo tema sono quasi sempre basate su evidenze di livello C, tranne qualcuna di livello B riguardante l’utilizzo di determinati farmaci. Nei soggetti ipertesi il lieve aumento della pressione arteriosa, ad esempio, può essere controllato con la terapia antipertensiva. Una cosa importante, quando si parte per una vacanza in montagna, è proprio questa: non dimenticare i farmaci a casa.
Bibliografia
1. Savonitto S, Piatti L. Il cardiopatico ad alta quota: non solo aria sottile. G Ital Cardiol 2023; 24: 1 – 7.
2. Savonitto S, Cardellino G, Doveri G, et al. Effects of acute exposure to altitude (3.460 m) on blood pressure response to dynamic and isometric exercise in men with systemic hypertension. Am J Cardiol 1992; 70: 1493-7.
3. Shlim DR, Houston R. Helicopter rescues and deaths among trekkers in Nepal. JAMA 1989; 261: 1017-9.
4. Donegani E, Hillebrandt D, Windsor J, et al. Pre-existing cardiovascular conditions and high altitude travel. Consensus statement of the Medical Commission of the Union Internationale des Associations d’Alpinisme (UIAA MedCom) Travel Medicine and Infectious Disease. Travel Med Infect Dis 2014;12:237-52.
5. Parati G, Agostoni P, Basnyat B, et al. Clinical recommendations for high altitude exposure of individuals with pre-existing cardiovascular conditions: a joint statement by the European Society of Cardiology, the Council on Hypertension of the European Society of Cardiology, the European Society of Hypertension, the International Society of Mountain Medicine, the Italian Society of Hypertension and the Italian Society of Mountain Medicine. Eur Heart J 2018;39:1546-54.
6. Cornwell WK 3rd, Baggish AL, Bhatta YKD, et al.; American Heart Association Exercise, Cardiac Rehabilitation, and Secondary Prevention Committee of the Council on Clinical Cardiology; and Council on Arteriosclerosis, Thrombosis and Vascular Biology. Clinical implications for exercise at altitude among individuals with cardiovascular disease: a scientific statement from the American Heart Association. J Am Heart Assoc 2021;10:e023225.