“È molto probabile che nel giro di pochi anni questa energia soppianterà la radiofrequenza per un gran numero di ablazioni”. A dirlo è Massimo Grimaldi, responsabile dell’UOSD di Aritmologia dell’Ospedale “F.Miulli” di Acquaviva delle Fonti (BA), uno dei cinque centri al mondo dove si sta sperimentando l’utilizzo dell’ablazione con elettroporazione per il trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale.
A differenza dell’ablazione con radiofrequenza o della crioablazione, questa tecnica prevede l’applicazione di un’energia molto elevata – fino a 1500-2000 volt – ma per un periodo di tempo brevissimo, nell’ordine dei microsecondi. La durata dell’applicazione di energia è così ridotta che il tessuto non ha il tempo di scaldarsi. “Quindi non si ha una necrosi di tipo termico del tessuto, il quale non si scalda quasi per nulla”, spiega Grimaldi. “Le cellule vengono inattivate perchè questa energia così alta, attraversando i miocardiociti atriali, determina una micro-perforazione delle membrane cellulari favorendo l’apoptosi per la fuoriuscita del citoplasma”.
Si ipotizza che il meccanismo alla base dell’ablazione con elettroporazione possa ridurre il rischio di complicanze associato alle procedure di ablazione con radiofrequenza e delle crioablazioni. Nell’ambito dell’ablazione della fibrillazione atriale, ad esempio, può capitare che l’applicazione di energia danneggi non solo l’atrio ma anche l’esofago, dando luogo a una fistola atrioesofagea in grado di portare alla morte del paziente. In modo simile l’ablazione con radiofrequenza o, più spesso, la crioablazione possono associarsi a lesioni del nervo frenico per la vicinanza anatomica di questa struttura alle vene polmonari di destra.
Dopo aver preso parte alle prime fasi di sperimentazione su modelli animali, effettuate tra Israele e Stati Uniti, Grimaldi guiderà lo studio sui pazienti affetti da fibrillazione atriale presso il centro pugliese. “Dopo questa prima fase di 50 pazienti – conclude – passeremo a una seconda fase in cui verranno coinvolti, presumibilmente, altri 10 centri, arrivando così a 15 centri a livello globale, per raggiungere un numero maggiore di pazienti e avere l’autorizzazione all’uso clinico in tutto il mondo”.
Fabio Ambrosino