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Verso una rete italiana dell’amiloidosi cardiaca

A cura di Fabio Ambrosino By 17 Dicembre 2021No Comments
SpecialiReportDai congressi

Nel corso della prima giornata dell’82esimo Congresso Nazionale della Società Italiana di Cardiologia (SIC) si è tenuto il simposio “La rete italiana dell’amiloidosi cardiaca”, in cui è stato presentato un progetto congiunto SIC-ANMCO per la realizzazione di un network di centri che si occupano di amiloidosi cardiaca nel nostro Paese. Tra gli obiettivi principali dell’iniziativa la condivisione di conoscenze, dati e tecnologie.

“Quando alcuni mesi fa Claudio Rapezzi mi ha chiamato per questa iniziativa sono stato entusiasta”, ha dichiarato Ciro Indolfi, Presidente SIC, in apertura dei lavori. “Come Società Italiana di Cardiologia abbiamo fatto tutto quello che era possibile, vogliamo fare una cosa di impatto nazionale e che sia utile per i pazienti”. Dello stesso parere anche Fulvio Colivicchi, Presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO): “Noi abbiamo aderito alla richiesta e all’impegno di Claudio Rapezzi, a cui ci lega una lunga amicizia, e siamo felici di essere qui oggi per collaborare a questa iniziativa di respiro nazionale”.

A descrivere le linee generali del progetto di una rete italiana dell’amiloidosi cardiaca è stato proprio Claudio Rapezzi, professore ordinario di Cardiologia dell’Università di Ferrara, tra i principali promotori. “Questa è un’iniziativa congiunta SIC-ANMCO, voluta fortemente da tante persone, a cui si è poi aggiunta la Società Italiana dell’Amiloidosi (SIA). E questo è un aspetto che la rafforza molto, perché in questo modo diventa un tavolino a tre gambe: due potenti e collaudate in ambito cardiologico e una ben radicata in ambito ematologico”.

Il progetto, ha spiegato Rapezzi, nasce dalla constatazione di un sempre maggiore interesse da parte della comunità medica e scientifica nei confronti dell’amiloidosi cardiaca. Un processo, questo, legato principalmente a due elementi: la recente disponibilità di uno standard diagnostico non invasivo basato sull’impiego della scintigrafia ossea, sviluppato proprio dal gruppo di Rapezzi, e lo sviluppo di nuovi ed efficaci trattamenti in particolare per l’amiloidosi cardiaca da transtiretina.

“Quando una malattia negletta comincia a essere oggetto di trattamento farmacologico – ha commentato Rapezzi  – le aziende cominciano a fare l’interesse della patologia e ad aiutare i medici e gli scienziati a diffonderne la cultura”.

Il cardiologo ha poi illustrato i risultati di un’indagine preliminare volta a caratterizzare l’insieme dei centri si occupano di amiloidosi cardiaca sul territorio nazionale. Questa, condotta circa un anno fa, ha permesso di identificare 67 strutture interessate alla gestione della patologia o già coinvolte nell’assistenza a pazienti affetti, di cui 37 al Nord, 17 al Centro e il resto al Sud. Centri, questi, che seguono circa 2000 pazienti con amiloidosi cardiaca da transtiretina, il 90% dei quali affetti da una forma wild type, l’8% da una forma ereditaria e il 2% portatori non affetti.

“Questi sono dati grezzi, a distanza di un anno credo che andrebbero aggiunti 300 o 400 pazienti”, ha spiegato il cardiologo dell’Università di Ferrara. Per quanto riguarda il volume gestito dai singoli centri, invece, è emerso che solo quattro di questi seguono più di 100 pazienti, sei ne seguono tra i 50 e i 99, tredici tra i 20 e il 49, dodici tra i 10 e i 19 e ben trentacinque centri hanno meno di 10 pazienti.

“La distribuzione volumetrica e geografica dei centri fa sì che ci sia bisogno di un collante”, ha quindi spiegato Rapezzi. Come è noto infatti le fasi della diagnosi dell’amiloidosi cardiaca sono tre: il sospetto, la diagnosi definitiva e la diagnosi eziologica. Non tutti i centri hanno tuttavia le competenze e le tecnologie necessarie per portare a termine tutte le fasi. “Per il sospetto è essenziale avere cultura, cioè elaborare le red flags che facciano venire in mente la possibilità di questa patologia. Per la diagnosi definitiva è necessario avere la scintigrafia ossea, i test ematologici, l’istologica e la genetica. Per la diagnosi eziologica, infine, è necessario avere tutte queste cose più immunoistochimica e proteomica”

Rapezzi ha quindi esplicitato l’intenzione di realizzare una survey center-level, il cui obiettivo sarà quello di restituire un’idea più precisa dei volumi relativi alla gestione di queste patologie, ed elencato gli obiettivi della nascente rete italiana dell’amiloidosi cardiaca.

“Noi vogliamo dar luogo a una rete che crei dei contatti stabili tra i centri in tutta Italia, faciliti i percorsi diagnostici e decisionali per i pazienti, offra a tutti le strutture una possibilità costante di teleconsulto e realizzi incontri periodici per discutere i casi clinici difficili e le novità diagnostiche e terapeutiche che vengono prodotte. Infine, vorremmo realizzare una piattaforma strutturata, rapidamente disponibile, per realizzare studi spontanei, studi proposti dall’industria e un registro italiano, così da poter instaurare una relazione privilegiata con AIFA e le associazioni dei pazienti”

Una rete intrinsecamente interdisciplinare, infine, che si pone l’obiettivo di coinvolgere in futuro anche altre società scientifica oltre a SIC, ANMCO e SIA, come quelle di medicina nucleare, neurologia, ematologia, nefrologia, medicina interna. Caratteristica principale del network, ha concluso Rapezzi, sarà quella di essere inclusivo, aperto a tutti, anche se nel rispetto dell’autonomia dei singoli centri in termini clinici, scientifici, congressuali e di aggregazione per progetti e protocolli. “La rete è un’offerta, un piatto ricco da offrire, non necessariamente da mangiare. Ma crediamo che una rete così strutturata possa produrre dei vantaggi per tutti”.

Fabio Ambrosino