
Una polipillola contenente aspirina, un ACE inibitore e una statina è risultata più efficace dei trattamenti standard nel ridurre il rischio cardiovascolare in pazienti con precedente infarto miocardico, senza però incidere sulla mortalità per tutte le cause. È questo il risultato principale dello studio SECURE, i cui risultati sono stati presentati nel corso della prima giornata di ESC Congress 2022: il meeting annuale dell’European Society of Cardiology in programma dal 26 al 29 agosto a Barcellona.
Il trial randomizzato SECURE ha reclutato 2.499 soggetti che erano andati incontro a un infarto miocardico nei sei mesi presedenti, i quali sono stati randomizzati per ricevere un trattamento basato su una polipillola contenente aspirina (100 mg), l’ACE inibitore ramipril (2,5, 5 o 10 mg) e atorvastatina (25mg) o un trattamento standard a discrezione del medico curante.
L’endpoint primario era costituito da una misura composita di mortalità cardiovascolare, infarto miocardico non fatale, ictus o rivascolarizzazione urgente. L’aderenza alla terapia è stata valutata mediante la Morisky Medication Adherence Scale.
L’età media dei partecipanti era di 76 anni e il 31% erano donne. Dei 2.499 pazienti coinvolti, il 77,9% presentava ipertensione, il 57,4% diabete e il 51,4% aveva una storia di abitudine al fumo.
I risultati hanno messo in evidenza una maggiore efficacia della polipillola nel ridurre l’incidenza dell’endpoint composito, verificatosi nel 9,5% dei pazienti del gruppo sperimentale e nel 12,7% di quelli del gruppo sottoposto a trattamento standard (HR 0,76 IC 0,60 – 0,96; p<0,001 per non inferiorità e p=0,02 per superiorità).
Tutti e quattro i componenti dell’endpoint composito sono risultati ridotti nel gruppo in trattamento con la polipillola ma quello che ha avuto l’impatto maggiore è stata la mortalità cardiovascolare, verificatasi nel 3,9% dei pazienti del gruppo sperimentale rispetto al 5,8% del gruppo sperimentale (p= 0,03). Un effetto, questo, emerso anche nelle analisi pre-specificate relative ai sottogruppi di pazienti divisi in base alla provevenienza, l’età, il sesso, la presenza di diabete, malattia renale cronica e precedente rivascolarizzazione).
Anche l’endpoint secondario composito di mortalità cardiovascolare, infarto miocardico non fatale e ictus si è invece verificato in un numero significativamente minore di pazienti trattati con la polipillola rispetto a quelli sottoposti al trattamento standard (8,2% vs. 11,7%; HR: 0,70 IC 0,54–0,90; p=0,005), così come l’aderenza è risultata più elevata nel gruppo sperimentale. Non sono emerse differenze significative tra i due gruppi, tuttavia, per quanto riguarda la mortalità per tutte le cause (HR: 0,97 IC 0,75–1,25).
“I risultati suggeriscono che la polipillola potrebbe diventare parte integrante delle strategie per prevenire gli eventi cardiovascolari nei pazienti post-infartuati”, ha commentato Valentin Fuster del Centro Nacional de Investigaciones Cardiovasculares (CNIC) di Madrid e del Mount Sinai Health System di New York. “Semplificando il trattamento e migliorando aderenza, questo approccio ha il potenziale per ridurre il rischio di recidiva di malattia e morte cardiovascolare su scala globale”.