
Uno dei momenti più attesi dell’edizione 2022 del congresso annuale dell’European Society of Cardiology è arrivato: sono stati presentati oggi i risultati del trial DELIVER, che ha messo in evidenza l’efficacia dell’inibitore di SGLT2 dapagliflozin nel ridurre il rischio di morte cardiovascolare o peggioramento dello scompenso cardiaco nei pazienti con frazione di eiezione moderatamente ridotta (o “mid range”), preservata o “migliorata” (nuova categoria introdotta dalle linee guida americane che include i soggetti che migliorano la proprio classe di funzionalità ventricolare sinistra superando la soglia del 40%).
Fino a oggi l’unico trattamento risultato efficace nel ridurre un endpoint composito di mortalità cardiovascolare e ospedalizzazioni per scompenso cardiaco nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione superiore al 40% era l’inibitore di SGLT2 empagliflozin (vedi i risultati dello studio EMPEROR-Preserved, presentati a ESC Congress 2021).
Ora, con la presentazione dei risultati del trial DELIVER, anche dapagliflozin entra a far parte di questa categoria dopo essere risultato effiace nei pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta (vedi i risultati del trial DAPA-HF, presentati a ESC Congress 2019). Il trial presentato oggi – randomizzato, multicentrico, in doppio cieco, controllato vs placebo – ha coinvolto 6.263 pazienti con scompenso cardiaco (età media: 72 anni, 44% donne) reclutati in 353 centri distribuiti in 20 Paesi, di età superiore a 40 anni e con una frazione di eiezione superiore al 40% (frazione di eizione media: 54%; percentuale di pazienti con precedente frazione di eiezione ridotta: 18%).
I pazienti reclutati sono stati randomizzati per ricevere dapagliflozin 10 mg o un placebo in aggiunta ai trattamenti già presenti: ACE inibitori, ARB o ARNI nel 77% dei casi, beta-bloccaanti nell’83% dei casi e antialdosteronici (MRA) nel 43%. L’endpoint primario era costituito da una misura composita di morte cardiovascolare o peggioramento dello scompenso cardiaco.
I risultati hanno mostrato che, a un follow up medio di 2,3 anni, l’endpoint primario si è verificato in 512 dei 3.131 pazienti in trattamento con dapagliflozin (16,4%) e in 610 su 3.132 (19,5%) dei pazienti del gruppo placebo (HR: 0,82; IC 95% 0 – 0,92; p<0,001). Prendendo in considerazione i singoli componenti dell’endpoint composito, è emerso che un peggioramento dello scompenso cardiaco si è verificato in 368 pazienti (11,8%) del gruppo dapagliflozin e in 455 pazienti (14,5%) del gruppo placebo (HR: 0,79; IC 95% 0,69-0,91), mentre la morte cardiovascolare ha interessato rispettivamente 231 (7,4%) e 261 (8,3%) pazienti (HR: 0,88; IC 95% 0,74-1,05). In entrambi i casi le differenze non sono risultate statisticamente significative.
“I benefici sono risultati consistenti in tutti i sottogruppi – ha dichiarato Scott Solomon del Brigham and Women’s Hospital di Boston, che ha presentato i risultati del trial DELIVER – con benefici simili in pazienti con frazione di eiezione pari, inferiore o superiore al 60%, in quelli con frazione di eiezione migliorata e in quelli ospedalizzati di recente e andati incontro a un miglioramento dei sintomi”.