
In occasione del congresso 2022 dell’European Society of Cardiology – in programma dal 26 al 29 agosto a Barcellona – sono state presentate due analisi dello studio BOX: uno studio a disegno fattoriale che esaminava l’effetto di due diversi tipi di ossigenazione durante la ventilazione meccanica e di due diversi target di pressione arteriosa frequentemente utilizzati nella pratica clinica (1,2).
Dalla prima analisi è emerso che un target di ossigenazione conservativa nei pazienti comatosi sopravvissuti a un arresto cardiaco extraospedaliero non peggiora la sopravvivenza o l’esito neurologico rispetto a un target liberale. Per poter giungere a questo risultato è stato esaminato l’effetto di due tipologie di ossigenazione durante la ventilazione meccanica sull’endpoint composito di morte per qualsiasi causa o dimissione dall’ospedale in cattivo stato neurologico.
I 789 pazienti – con età media di 63 anni, di cui l’81% uomini – sono stati randomizzati con un rapporto di 1:1 a un’ossigenazione conservativa mirata a una PaO2 di 9-10 kPa o a un’ossigenazione liberale mirata a 13-14 kPa. I pazienti sono stati sottoposti a una gestione della temperatura standard per 24 ore a 36° C. L’endpoint primario era un composito di mortalità per tutte le cause entro 90 giorni o dimissione dall’ospedale in uno stato di Cerebral Performance Category (CPC) 3 o 4 (definito come dipendente da altri per le attività quotidiane), a seconda di quale si fosse verificato per primo.
L’endpoint composito primario si è verificato in 126 pazienti su 394 (32%) nel gruppo con ossigenazione conservativa e in 134 pazienti su 395 (33,9%) nel gruppo con ossigenazione liberale (HR 0,91; CI 95% 0,71–1,16; p =0,59).
Dalla seconda analisi, invece, è emerso che un target di pressione sanguigna a 77 mmHg non fornisce alcun beneficio per la sopravvivenza o l’esito neurologico nei pazienti comatosi sopravvissuti a un arresto cardiaco rispetto a un target a 63 mmHg.
In questo caso i pazienti sono stati randomizzati all’arrivo nell’unità di terapia intensiva con un rapporto di 1:1 a un target di pressione sanguigna di 63 mmHg o 77 mmHg durante la gestione della temperatura mirata. Il disegno di studio in doppio cieco è stato realizzato assegnando casualmente dispositivi di monitoraggio della pressione sanguigna che erano stati sfalsati per mostrare il 10% in più o il 10% in meno rispetto al valore reale. Per tutti i pazienti il personale di terapia intensiva ha targettizzato 70 mmHg sul monitor titolando le flebo di noradrenalina, ma con un target effettivo di 63 mmHg in metà dei pazienti e di 77 mmHg nell’altra metà. I target della pressione sanguigna assegnati sono stati mantenuti per tutto il tempo in cui la pressione sanguigna è stata monitorata in modo invasivo durante la degenza in terapia intensiva. Anche in questo caso l’endpoint primario era costituito da un composito di mortalità per tutte le cause entro 90 giorni o dimissione dall’ospedale in uno stato di CPC 3 o 4.
L’endpoint primario si è verificato in 133 (34%) pazienti nel gruppo con target della pressione sanguigna a 77 mmHg e 127 (32%) nel gruppo con target a 63 mmHg (HR 1,08; CI 95% 0,84–1,37; p=0,56). Jesper Kjaergaard, medico al Rigshospitalet–Copenhagen University Hospital e principal investigator dello studio, ha concluso che “i risultati dello studio BOX supportano le linee guida sull’assistenza post-rianimazione, che suggeriscono il mantenimento di una pressione arteriosa media di almeno 65 mmHg” (3).
Bibliografia
1. Schmidt H, Kjaergaard J, Hassager C, et al. Oxygen Targets in Comatose Survivors of Cardiac Arrest. NEJM 2022.
2. Kjaergaard J, Møller JE, Schmidt H, et al. Blood-Pressure Targets in Comatose Survivors of Cardiac Arrest. NEJM 2022.
3. Nolan JP, Sandroni C, Bottiger BW, et al. European Resuscitation Council and European Society of Intensive Care Medicine guidelines 2021: post-resuscitation care. Intensive Care Med. 2021;47:369– 421.