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Amiloidosi cardiaca da transtiretina: l’importanza di una diagnosi accurata e tempestiva

A cura di Redazione By 27 Agosto 2022No Comments
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amiloidosi diagnosi

Si è tenuto nel corso della seconda giornata congressuale di ESC Congress 2022, il meeting annuale dell’European Society of Cardiology in corso a Barcellona, il simposio “Idiopathic heart failure or undiagnosed ATTR-CM? Making an early and accurate diagnosis”, incentrato sul  processo diagnostico dell’amiloidosi cardiaca da transtiretina. L’incontro nel corso del quale sono intervenuti alcuni dei maggiori esperti mondiali in tema di amiloidosi cardiaca, ha visto una grande partecipazione da parte dei cardiologi presenti a Barcellona.

“Riconoscere l’amiloidosi cardiaca correlata alla transtiretina è fondamentale – ha spiegato Pablo Garcia-Pavia dell’Hospital Universitario Puerta de Hierro Majadahonda di Madrid nella parte introduttiva del simposio – perché questi pazienti hanno un’aspettativa di vita molto limitata. È stato riportato che loro sopravvivenza media dopo la diagnosi è di circa 2-3,5 anni. È però molto comune che la diagnosi corretta arrivi in ritardo, dopo che il paziente ha ricevuto altre diagnosi, spesso di cardiomiopatia ipertrofica o scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata. Inoltre, i trattamenti disponibili per i pazienti con scompenso cardiaco spesso risultato inutili nei soggetti affetti da amiloidosi cardiaca da transtiretina e spesso sono anche poco tollerati”.

Il primo intervento è stato quello di Thibaud Damy dell’University Hospital Henry Mondor di Creteil (Francia), il quale ha descritto nel dettaglio il processo che va dalla formazione di un sospetto diagnostico di amiloidosi cardiaca da transtiretina al raggiungimento di una diagnosi certa. Il cardiologo francese ha quindi iniziato elencando le cosiddette red flags tipiche di questa patologia, ovvero quegli elementi che dovrebbero indurre il medico a sospettare la presenza di una cardiomiopatia amiloidotica. Tra questi: presenza di uno scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata o di altre condizioni quali stenosi aortica e aritmie, aumentati livelli di troponina o NT-proBNP, discordanza tra bassi voltaggi del QRS e ipertrofia del ventricolo sinistro, storia di diagnosi ortopediche di sidrome del tunnel carpale bilaterale e disfunzioni autonomiche.

“Vi trovate davanti un paziente con sintomi da scompenso cardiaco e evidenze di ipertrofia ventricolare – ha spiegato Damy – e dovete andare a guardare tutti i segni cardiaci ed extracardiaci per aumentare la prbabilità di individuare un’eventuale amiloidosi cardiaca. Ci sono diversi strumenti che possono essere utilizzati, come l’ECG, i test laboratoriali, l’ecocardiografia e la risonanza magnetica cardiaca”. Una volta formulato il sospetto di amiloidosi cardiaca, ha spiegato il cardiologo francese, è necessario sottoporre il paziente a una scintigrafia ossea e a test ematologici (catene leggere libere sieriche, immunofissazione sierica, immunofissazione urinaria) per escludere un’amiloidosi cardiaca da catene leggere. “Una volta esclusa la presenza di un’amiloidosi cardiaca di tipo ematologico una scintigrafia ossea positiva con un Perugini score di 2 o 3 permette di effettuare una diagnosi di amiloidosi cardiaca da transtiretina con una specificità del 100% o quasi”.

Nel secondo intervento Perry Elliot, docente di Cardiovascular Medicine all’University College London (UCL), ha affrontato il tema della gestione dei pazienti con amiloidosi cardiaca da transtiretina. “Attualmente tafamidis è l’unico trattamento approvato per questa patologia che agisce direttamente sul processo che porta alla destabilizzazione del tetramero di transtiretina, la causa della patogenesi della malattia”. Tale approvazione è basata sui risultati dello studio registrativo ATTR-ACT, il quale ha messo in evidenza una riduzione significativa della mortalità e delle ospedalizzazioni per cause cardiovascolari nei pazienti con amiloidosi cardiaca da transtiretina trattati con tafamidis rispetto a quelli trattati con placebo.

Nella conslusione del suo intervento Elliott ha poi descritto i risultati dell’estensione a  5 anni dello studio, nel corso del quale tafamidis è stato somministrato anche ai soggetti che avevano inizialmente  ricevuto il placebo. Questi hanno messo in evidenza un tasso di sopravvivenza del 53% nei pazienti trattati con lo stabilizzatore della transtiretina e del 32% in quelli trattati inizialmente con placebo. “Come interpretiamo questo dato? Ancora una volta questo ci fa capire che un trattamento tempestivo determina un beneficio signficativo in termini di sopravvivenza”.