
Tra i diversi studi presentati nelle prime ore del congresso dell’European Society of Cardiology, uno di quelli che ha maggiormente attirato l’attenzione della comunità scientifica è lo studio EMPEROR-Preserved. È stato disegnato e condotto con l’obiettivo di valutare se in pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata (HFpEF), con o senza diabete, un trattamento con l’inibitore di SGLT2 empagliflozin è in grado di ridurre il rischio di andare incontro a un endpoint composito di morte cardiovascolare e ospedalizzazioni per scompenso cardiaco rispetto a un placebo.
Lo studio – finanziato da Boheringer Ingelheim e Eli Lilly – è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine (1) (vedi l’articolo: accesso riservato agli abbonati) e presentato in dettaglio da Cardioinfo (vedi qui la notizia).
“In EMPEROR-Preserved – ha commentato John Mandrola su Medscape – vedo un segnale statisticamente robusto relativamente all’esito composito di ospedalizzazioni per scompenso cardiaco e mortalità cardiovascolare. È un risultato importante. Ad oggi, nessun farmaco si è dimostrato efficace nell’HFpEF. È un punto a favore per empagliflozin. Ma non c’è stata una riduzione significativa della mortalità cardiovascolare (in nessuno degli studi EMPEROR) o della mortalità per tutte le cause“. Parlando di diversi studi EMPEROR Mandrola si riferisce a un altro trial dalle caratteristiche quasi identiche ma condotto su pazienti con scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta (EMPEROR-Reduced, presentato al congresso dello scorso anno e commentato anche questo su Cardioinfo) (2).
Il cardiologo di Louisville pone tre domande ai propri lettori: “Se empaglifozin ha un impatto così evidente sulle ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, perché non riduce la mortalità per cause cardiovascolari, o quella complessiva o gli esiti renali? Lo studio è stato troppo breve? Un follow-up più lungo e la registrazione di più eventi rafforzerebbero la dimensione dell’effetto?” Secondo Mandrola, i risultati dello studio lasciano delle perplessità sulle quali probabilmente ricercatori e sponsor tenderanno a sorvolare. Ma in quale direzione andranno le scelte dei clinici qualora fosse definitivamente chiarito il mancato effetto positivo sulla mortalità?
La prudenza espressa da numerosi cardiologi è controbilanciata dalla moderata soddisfazione di altri – “Giusto vantarsi, ma non è un colpo decisivo” ha tweettato Sanjay Kaul, cardiologo a Los Angeles ed esperto metodologo clinico – e dall’esplicito entusiasmo da parte di chi – come Giuseppe Galati, cardiologo dell’IRCCS San Raffaele di Milano – sottolinea che la durata media di vita di un paziente con scompenso cardiaco con frazione di eiezione preservata è di circa 6 anni: la riduzione delle ospedalizzazioni – da quella iniziale alle successive e ricorrenti – è dunque da considerare un endpoint estremamente importante per il paziente e per i familiari, perché influisce positivamente e in modo diretto sulla qualità della vita. Quest’ultimo è un aspetto realmente importante soprattutto per una sottopopolazione – come i pazienti con frazione di eiezione preservata – che non hanno prognosi invariabilmente severa.
“Convincente” per l’American College of Cardiology, “coerente per l’essere in linea con altri studi” e per la consistenza dei risultati nei diversi sottogruppi di pazienti secondo Harlan Krumholz della Yale University e “groundbreaking” per Pascal Meier, editor-in-chief di OpenHeart, rivista del gruppo del BMJ: ma, come scrive Mandrola in apertura del post su Medscape, un’analisi compiuta dello studio ha bisogno di tempo. Andranno meglio analizzate la grandezza del beneficio, la certezza del beneficio (soprattutto se estendibile anche ai pazienti di età maggiore ai 70 anni), il determinante del beneficio (che nell’analisi combinata [pooled] dei due studi EMPEROR sembra essere quasi esclusivamente la riduzione dei ricoveri). Infine, il problema dei costi del farmaco e di conseguenza dell’accesso alle cure: in queste ore ne ha fatto cenno solo Krumholz, ma la sua è una voce molto ascoltata…
Bibliografia
1. Anker SD, Butler J, Filippatos G. et al. Empaglifozin in heart failure with preserved ejection fraction. N Engl J Med 2021; 27 agosto 2021. DOI 10.1056/NEJMoa2107038
2. Packer M, Anker SD, Butler J, et al. Cardiovascular and renal outcomes with empagliflozin in heart failure. N Engl J Med 2020;383(15):1413-24.DOI: 10.1056/NEJMoa2022190