
La riduzione farmacologica della pressione arteriosa è direttamente correlata a una riduzione del rischio di eventi cardiovascolari, indipendentemente dal livello di pressione di partenza normale o anormale del paziente o se ha già sofferto di un evento cardiovascolare o meno. Lo afferma una meta-analisi dei dati del trial Blood Pressure Lowering Treatment Trialists Collaboration (BPLTTC) presentata al meeting annuale dell’European Society of Cardiology, che quest’anno si è svolto in modalità “virtuale” a causa dell’emergenza COVID-19.
“Il fatto che gli effetti relativi della terapia anti-ipertensiva siano simili indipendentemente dallo stato di salute del paziente non vuol dire naturalmente che tutti dovrebbero essere sottoposti a trattamento”, spiega Kazem Rahimi dell’University of Oxford. “Questa decisione ovviamente dipende dai fattori di rischio di ognuno, che i clinici sanno considerare. Vanno anche valutati gli effetti collaterali e il costo del trattamento, ovviamente”. Nell’ambito del BPLTTC – che va avanti, in varie forme, dal 1995, ha coinvolto finora 348.854 pazienti ed è il più vasto mai realizzato in questo ambito – sono stati isolati due gruppi di pazienti: quelli con una diagnosi di patologia cardiovascolare precedente alla terapia anti-ipertensiva e quelli senza una diagnosi di questo tipo. Ogni gruppo è stato diviso in sette sottogruppi in base ai valori baseline di pressione sistolica: (inferiore a 120, 120-129, 130-139, 140-149, 150-159, 160-169, 170 mmHg e oltre). Dopo un follow-up medio di 4 anni, a ogni riduzione di 5 mmHg corrisponde un calo di rischio cardiovascolare del 10% (ictus -13%, cardiopatia ischemica -7%, scompenso cardiaco -14%, decesso per cause cardiovascolari -5%).
Commenta Rahimi: “I dati dimostrano che la decisione di prescrivere una terapia anti-ipertensiva non dovrebbe essere basata semplicemente sulla presenza di una diagnosi di patologia cardiovascolare o sulla misurazione della pressione arteriosa. Questo tipo di farmaci vanno visti come uno strumento per ridurre il rischio cardiovascolare in un individuo”.
David Frati