
Il 13 settembre 2019, in una Napoli particolarmente accogliente e assolata, si è tenuto un importante momento di confronto tra i cardiologi ospedalieri, per lo più afferenti alle aziende ospedaliere campane, organizzato dall’Ospedale del Mare e patrocinato da ANMCO e dalla ASL Napoli 1. Il dibattitto è stato lanciato da una survey il cui obiettivo è stato quello di verificare la conoscenza e l’aderenza alle attuali linee-guida internazionali sul trattamento della fibrillazione atriale non valvolare (FANV) e del tromboembolismo venoso (TEV), e sull’impiego dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) nella pratica clinica ospedaliera. Un comitato di clinici esperti ha condiviso con i partecipanti una serie di domande specifiche focalizzando il dibattito sugli studi clinici più importanti, sull’impiego dei NAO, sulle linee-guida e sulla presentazione di casi clinici specifici (casi-modello).
Il Responsabile Scientifico dell’evento, Fortunato Scotto di Uccio (UOC Cardiologia, Ospedale del Mare, ASL Napoli 1 Centro) per esempio ha stressato la rilevanza clinica correlata ai pazienti con FANV e sindrome coronarica acuta (SCA), circa il 15%, e successivamente sottoposti, nella maggior parte dei casi, a una procedura d’impianto di stent. Le strategie terapeutiche per la gestione di questi pazienti sono fondamentali: dalla profilassi tromboembolica relativa alla fibrillazione atriale, alla prevenzione del rischio ischemico correlato all’impianto di stent. I NAO hanno mostrato di possedere queste caratteristiche, insieme a un elevato profilo di sicurezza in termini di incidenza dei sanguinamenti, e, come tali, rappresentano un valido presidio terapeutico da associare alla terapia antiaggregante. A tal proposito, i dati dello studio ENTRUST-AF PCI, presentati al Congresso della Società Europea di Cardiologia 2019, hanno mostrato come i dosaggi di edoxaban valutati e validati in questa tipologia di pazienti garantiscano un’efficace prevenzione del rischio cardioembolico.
La FANV, in Italia, interessa l’1‐2% della popolazione e le probabilità di sviluppare tale patologia aumentano con l’età: tra le persone con più di 40 anni, in media 1 su 4 rischia un episodio nel corso della propria vita. Inoltre, con l’aumentare dell’età, cresce anche notevolmente il rischio di ictus, in particolare in presenza di comorbidità quali diabete, ipertensione arteriosa, insufficienza cardiaca o in coloro che hanno già presentato un’ischemia cerebrale. Il paziente anziano – spiega Cesare Baldi (AOU S. Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona, Salerno, e Presidente Regionale ANMCO, Regione Campania)- è soggetto più frequentemente a alla FANV, è più esposto al rischio emorragico, e alla compromissione delle funzioni in occasione di un evento ischemico, soprattutto a livello cerebrale. Questo comporta che i farmaci impiegati per il trattamento delle FANV non aumentino il rischio di sanguinamento, associato nella popolazione anziana è ad un’elevata mortalità. I NAO –conclude Baldi- hanno sinora mostrato un elevato profilo di efficacia e sicurezza, in particolare in termini di contenimento di tale rischio.
Domenico Gabrielli (Ospedale Civile Augusto Murri, Fermo, e Presidente ANMCO) ha ulteriormente commentato quanto, nel paziente anziano con insufficienza renale, popolazione a maggior rischio di eventi con la terapia anticoagulante standard, i nuovi anticoagulanti orali stiano dimostrando (dai trial registrativi agli studi di registro) un ottimo profilo di sicurezza ed efficacia, in alcuni casi con dati decisamente superiori alle migliori aspettative cliniche. I recenti dati AIFA sembrano, anzi, confermare l’impiego dei NAO in un’elevata percentuale di pazienti ultranovantenni, con dati di riduzione del rischio sanguinamenti maggiori (tra cui un dimezzamento del tasso di emorragie intracraniche) decisamente concorrenziali rispetto all’impiego degli antagonisti della vitamina K (AVK).Uno dei rischi maggiori nel paziente anziano –conclude Gabrielli- è quello di impiegare i farmaci a basse dosi che non corrispondono alle indicazioni sulla riduzione dei dosaggi riportate in letteratura. Anche per questo motivo il trattamento di questa popolazione particolarmente fragile necessita di grande attenzione da parte dei clinici.
I NAO – ribadisce Furio Colivicchi (UOC Cardiologia, PO S. Filippo Neri, ASL Roma 1, e Presidente Designato ANMCO)- hanno evidenziato una riduzione assoluta delle complicanze emorragiche maggiori, e in particolare delle emorragie cerebrali, e un’azione preventiva degli eventi cardioembolici e tromboembolici, determinando, di fatto, un ridotto impiego del warfarin dallo scenario clinico, soprattutto nel trattamento del paziente anziano.
Il quadro attuale per il trattamento di FANV e TEV evidenzia la disponibilità di dati solidi, consistenti, dal momento che gli studi sui NAO sono stati condotti su popolazioni molto ampie – argomenta Bernardino Tuccillo (UOC Cardiologia, Ospedale del Mare, ASL Napoli 1 Centro)- e tutti questi dati vanno nella direzione di una ormai imprescindibile coesistenza di efficacia e sicurezza, che si esprime al meglio nel profilo degli anticoagulanti orali diretti.
L’incidenza media del tromboembolismo venoso è di 117 casi ogni 100.000 persone all’anno (in Italia?). Tale incidenza aumenta con l’età del paziente e appare lievemente aumentata nei soggetti di sesso maschile. Le complicanze più importanti del TEV sono rappresentate dall’elevato tasso di recidive dopo il primo evento (7% a 6 mesi dalla diagnosi e 30% nei successivi 10 anni) e dall’elevata mortalità in soggetti non rapidamente diagnosticati e non adeguatamente trattati. Il rapporto tra trombosi ed embolia è molto stretto: infatti, circa il 50% dei pazienti con trombosi venosa profonda prossimale degli arti inferiori presenta un’embolia polmonare asintomatica e, d’altro canto, una trombosi venosa profonda, soprattutto se asintomatica, è presente in circa l’80% dei pazienti con embolia polmonare. La gestione della terapia antitrombotica nel paziente neoplastico, poi, è una questione emergente dato il numero consistente (e in aumento) di casi. La problematica trombotica, spiega Stefano Urbinati (UOC Cardiologia, Ospedale Bellaria, AUSL di Bologna, e Presidente della Italian Federation of Cardiology) deriva dalla neoplasia stessa (alcune forme di tumore quali quelli ematologici, aumentano il rischio pro-trombotico) oppure dal trattamento chemioterapico (in particolare per le molecole più recenti). In questo setting lo studio Hokusai VTE Cancer, il più ampio fin qui condotto, ha delineato un nuovo standard terapeutico rispetto allo studio CLOT, evidenziando il vantaggio di edoxaban rispetto all’eparina a basso peso molecolare in termini di riduzione del rischio trombotico.
BIBLIOGRAFIA
- Vranckx P, Valgimigli M, et al. Edoxaban-based versus vitamin K antagonist-based antithrombotic regimen after successful coronary stenting in patients with atrial fibrillation (ENTRUST-AF PCI): a randomised, open-label, phase 3b trial. The Lancet 2019; https://doi.org/10.1016/S0140-6736(19)31872-0
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