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Il futuro della diagnosi dell’amiloidosi cardiaca TTR – Parte 1

A cura di David Frati By 1 Settembre 2019Marzo 28th, 2022No Comments
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Amiloidosi cardiaca diagnosi

L’amiloidosi cardiaca correlata alla transtiretina (ATTR-CM) è una patologia meno rara di quanto si pensi e decisamente sottodiagnosticata. Come individuare i pazienti a rischio di ATTR-CM e come procedere ad una corretta diagnosi? Di questo e di altro si è discusso nell’affollatissimo simposio satellite “Looking to the future of identifying transthyretin amyloid cardiomyopathy”, svoltosi nell’ambito del congresso annuale dell’European Society of Cardiology (ESC) 2019 a Parigi con la presenza di alcuni fra i maggiori esperti europei su questa patologia e moderato da Perry Elliott, professore di Cardiovascular Medicine all’University College London (UCL).

Ad oggi sono state identificate più di 100 diverse proteine amiloidogene e ciascun sottotipo patologico è caratterizzato da un accumulo localizzato o sistemico di sostanza amiloide che può riguardare uno o più organi come reni, milza, fegato, polmoni, cute, sistema nervoso centrale e periferico, apparato gastrointestinale ed apparato scheletrico, provocando di conseguenza un quadro clinico molto variabile in base al distretto colpito. L’amiloidosi primitiva (AL) risulta essere statisticamente la più frequente. Tra le forme familiari invece, la forma più frequente è quella associata a mutazioni del gene trans-ti-retina (ATTR).

Thibaud Damy, Direttore del Centre de Référence National des Amyloses Cardiaques dell’Hôpital Henri Mondor di Créteil, ha ricordato l’importanza di una diagnosi precoce, dato che la prognosi del paziente può velocemente peggiorare a causa del crescere del deposito amiloide e della progressiva disfunzionalità cardiaca da esso causata. “Ma quali pazienti dovrebbero essere avviati a uno screening per l’ATTR-CM? “Le ‘red flags’ per questa patologia sono un marcato aumento del volume extra-cellulare (ECV), nulling anormale del miocardio o aumento dei tempi di ritardo per il gadolinio nella RM cardiaca, storia di sindrome del tunnel carpale bilaterale, ricorrenti leggeri aumenti dei livelli di troponina”. Quali i fattori che contribuiscono alla sottodiagnosi dell’ATTR-CM? “Una conoscenza ancora lacunosa e frammentata sulla patologia, la sua relativa rarità, le errate convinzioni riguardo ai metodi diagnostici, l’utilizzo di tool diagnostici non sufficientemente sensibili, l’eterogeneità fenotipica intrinseca riguardante il coinvolgimento di diversi organi e le variabilità geografiche”.

Ma secondo Claudio Rapezzi, Direttore dell’Unità Operativa di Cardiologia del Policlinico S.Orsola-Malpighi di Bologna, quello che veramente è necessario è un cambio di prospettiva: “Negli ultimi 5-10 anni abbiamo osservato – o meglio siamo stati i protagonisti di una vera rivoluzione epidemiologica in questo campo. Siamo passati dall’era dello “0 punto qualcosa” nella prevalenza all’era della doppia cifra, almeno in determinate popolazioni a rischio. Perché la ATTR-CM sta uscendo dal “club” ristretto delle malattie orfane dunque? Ci sono numerose spiegazioni, prima di tutto l’aumento della conoscenza, in secondo luogo la disponibilità di strumenti diagnostici non invasivi e infine la disponibilità di un semplice – sebbene non necessariamente accurato – algoritmo diagnostico. Ma molto è dipeso e può dipendere dall’atteggiamento del clinico, che deve attraversare tre fasi, connesse e distinte: il sospetto, la diagnosi – che però non è abbastanza, attenzione! – e la diagnosi eziologica. Il cardiologo può essere, ma non sempre è, responsabile di tutte le fasi in questione. All’ecocardiogramma deve notare un’ipertrofia ventricolare nonostante il ventricolo sinistro non sia dilatato, coesistenza di versamento pericardico e ispessimento della parete libera del ventricolo destro e del setto interatriale, ma questo è solo il primo livello: il cardiologo deve entrare in questo quadro clinico per capire che paziente ha davanti a lui, perché il sospetto inizia dal paziente. Per esempio dai pazienti con sindrome del tunnel carpale: da noi specialisti deve partire un appello ai nostri colleghi medici di Medicina generale affinché avviino tutti i pazienti operati per sindrome del tunnel carpale allo screening per cardiopatia amiloide, e che in caso di risultati negativi ripetano gli esami per almeno 5-7 anni. Ancora una volta, come in un romanzo giallo o in un film poliziesco, la parola d’ordine è sospetto”.

David Frati