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La real-world evidence nella gestione della fibrillazione atriale

By 1 Settembre 2019Settembre 15th, 2021No Comments
Dai congressi
real world fibrillazione atriale

Spesso i dati provenienti dagli studi di real-world evidence integrano quelli quelli emersi dai trial randomizzati, fornendo indicazioni utili riguardo ad aspetti che non vengono affrontati nelle diverse fasi di sperimentazione. La tematica è stata al centro del practical tutorial “How is real-world evidence helping to inform care for patients with atrial fibrillation?”, tenutosi nel corso della seconda giornata del Meeting annuale dell’European Society of Cardiology (ESC). Durante l’affollata sessione interattiva, infatti, il cardiologo dell’Hôpital Européen Georges Pompidou in Paris Nicholas Danchin ha spiegato in che modo i dati di real-world possono essere utilizzati per ottimizzare il trattamento dei pazienti affetti da fibrillazione atriale (FA), illustrando le più recenti evidenze disponibili in quest’ambito.  

“Uno dei problemi dei trial randomizzati – ha sottolineato Danchin – è che spesso non è possibile studiare realmente l’azione di un farmaco nella migliore condizione possibile. Ci sono delle considerazioni pratiche da fare: ad esempio, se si sta trattando un paziente di 95 anni, con difficoltà di movimento, molto probabilmente si eviterà di reclutarlo per un trial clinico che richiede la sua presenza in ospedale una volta al mese. Tuttavia, una volta immesso nel mercato, il farmaco oggetto di studio potrebbe essere utilizzato anche in pazienti con queste caratteristiche”. 

Gli studi di real-world sono quindi fondamentali, ad esempio, per comprendere gli effetti reali dell’introduzione di specifiche linee guida, le cui raccomandazioni sono basate – per la necessità di considerare solo le evidenze di qualità più elevata – proprio sui risultati dei trial clinici randomizzati. Ad esempio, come riportato da Danchin, nel 2018 uno studio di real-world inglese che ha indagato gli effetti a 10 anni dell’introduzione dei nuovi anticoagulanti orali sul tasso di ictus FA-correlati nella popolazione britannica ha dimostrato come al crescere dell’adozione di questi farmaci sia corrisposto un progressivo declino del numero di eventi (1). 

Ma le real-world evidence possono anche fungere da verifica dei risultati dei trial clinici. Un esempio in questo senso è lo studio ARISTOPHANES, il quale aveva l’obiettivo di valutare la sicurezza e l’efficacia dei nuovi anticoagulanti orali rispetto a warfarin per la prevenzione dell’ictus nei pazienti affetti da fibrillazione atriale non valvolare. “Dai risultati – ha commentato Danchin – si può vedere come, ad esempio, lo studio abbia messo in evidenza una riduzione del 39% del rischio di ictus associata al trattamento con apixaban rispetto a quello con warfarin. Inoltre, i sanguinamenti maggiori sono risultati del 44% meno frequenti nei pazienti trattati con questo anticoagulante. Riduzioni, queste, che sono risultate significative anche per quanto riguarda il dosaggio ridotto di 2,5 mg BID, spesso utilizzato nella pratica clinica (2), e i pazienti di età superiore agli 80 anni (3)”. 

“Inoltre – ha proseguito il cardiologo francese – dallo stesso set di dati emerge che il trattamento con apixaban si associa a risultati migliori, in termini di ictus e sanguinamenti maggiori, anche rispetto agli altri anticoagulanti orali dabigatran e rivaroxaban”. 

Infine, Danchin ha illustrato i risultati dello studio NAXOS, presentati proprio nel corso del Meeting dell’ESC. Questo ha valutato l’efficacia e la sicurezza degli anticoagulanti orali per la prevenzione dell’ictus e dell’embolismo sistemico in una coorte di pazienti con fibrillazione atriale non valvolare relativa all’intera popolazione francese. “In termini di sicurezza, valutata secondo i sanguinamenti maggiori che hanno determinano un’ospedalizzazione, il trattamento apixaban è risultato associato a una riduzione degli eventi rispetto sia agli antagonisti della vitamina K (51%) che a rivaroxaban (37%) e dabigatran (15%)”, ha commentato Danchin. Per quanto riguarda l’efficacia, invece, misurata attraverso l’incidenza di ictus e tromboembolismi sistemici, apixaban è risultato associato a una riduzione del 33% degli eventi rispetto agli antagonisti della vitamina K, mentre non sono emerse differenze rispetto a dabigatran e rivaroxaban. “Ovviamente – ha specificato lo speaker – non essendo disponibili studi head-to-head sui diversi anticoagulanti orali non è possibile fare confronti diretti tra i diversi trattamenti sulla base di questi dati”. 

In conclusione, Danchin ha fatto notare come nel caso degli anticoagulanti orali i risultati degli studi di real-world evidence siano coerenti con quelli dei trial clinici randomizzati. “Questi ci permettono quindi di fare delle considerazioni utili per quanto riguarda quei sottogruppi che non vengono inclusi o sono sotto-rappresentati nei trial clinici randomizzati”. 

Fabio Ambrosino

▼1. Cowan JC, Wu J, Hall M, et al. A 10 year study of hospitalized atrial fibrillation-related stroke in England and its association with uptake of oral anticoagulation. European Heart Journal 2018; 39(32):2975-2983.
2. Lip GYH, Keshishian A, Li X, et al. Effectiveness and Safety of Oral Anticoagulants Among Nonvalvular Atrial Fibrillation Patients. The ARISTOPHANES Study. Stroke 2018; 49:2933–2944.
3. Deitelzweig S, KEshishian A, Li X, et al. Comparisons between Oral Anticoagulants among Older Nonvalvular Atrial Fibrillation Patients. Journal of the American Geriatrics Society 2019; 67: 1662-1671.