
Sono passati solo pochi giorni dalla chiusura dell’edizione 2019 del Meeting dell’European Society of Cardiology – il più importante evento al mondo per la ricerca scientifica in ambito cardiologico – tenutasi dal 31 agosto al 4 settembre presso il centro espositivo Porte de Versailles di Parigi; anche quest’anno una delle tematiche centrali, tra le moltissime discusse nel corso del Congresso, è stata la prevenzione dell’ictus nei pazienti affetti da fibrillazione atriale, con la presentazione di importanti studi di real life e numerosi simposi e momenti formativi sull’argomento.
Da questi è emerso chiaramente che l’introduzione dei nuovi anticoagulanti orali (NOAC) nella pratica clinica ha avuto un impatto estremamente positivo sulla gestione di questi pazienti. Ad esempio, prendendo in considerazione i casi di ictus verificatisi in una coorte di soggetti con fibrillazione atriale del Regno Unito, uno studio pubblicato nel 2018 sull’European Heart Journal ha messo in evidenza come in corrispondenza dell’introduzione di questi agenti si sia verificata una progressiva diminuzione del numero degli eventi (1). Risultati simili, poi, sono stati ottenuti anche in Svezia: all’aumentare dell’uso dei NOAC è diminuita l’incidenza degli ictus, con un tasso di sanguinamenti che è invece rimasto stabile (2).
Dati, questi, che confermano le evidenze emerse da tutti gli studi registrativi relativi a questa classe di farmaci. Il trial ARISTOTELE, ad esempio, aveva dimostrato come la somministrazione di 5 mg di apixaban due volte al giorno fosse in grado di ridurre – rispetto a un trattamento con l’antagonista della vitamina K warfarin – gli ictus e le embolie sistemiche del 21%, i sanguinamenti maggiori del 31% e la mortalità per tutte le cause dell’11% (3). Nel 2016, infatti, le linee guida ESC/EACTS sulla gestione dei pazienti affetti da fibrillazione atriale avevano poi recepito questi risultati, raccomandando (classe Ia) l’utilizzo dei NOAC (apixaban, dabigatran, edoxaban, and rivaroxaban) per la prevenzione dell’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale elegibili a questo tipo di trattamento (4). La stessa raccomandazione (classe Ia) è stata recentemente inserita anche nelle nuove linee guida ESC relative alla gestione delle sindromi coronariche croniche, presentate proprio in occasione del Meeting di Parigi, per quanto riguarda la prevenzione degli eventi nei pazienti che in aggiunta a una patologia coronarica presentano anche fibrillazione atriale (5).
Com’è noto, tuttavia, spesso i pazienti reclutati nei trial clinici registrativi considerati per la stesura delle linee guida non sono del tutto rappresentativi di quelli che poi i clinici incontrano nella pratica quotidiana. Per questo motivo, per comprendere la reale efficacia e sicurezza di un farmaco è fondamentale condurre degli studi di real life che analizzino l’utilizzo di un farmaco in contesti clinici reali. Proprio questo tipo di ricerche è stato al centro di un affollatissimo simposio tenutosi nel corso della seconda giornata congressuale, dove il cardiologo dell’Hôpital Européen Georges Pompidou in Paris Nicholas Danchin ha spiegato in che modo i dati di real-life possono essere utilizzati per ottimizzare il trattamento dei pazienti affetti da fibrillazione atriale.
Un esempio in questo senso è quello dello studio ARISTOPHANES, il quale ha messo a confronto la sicurezza e l’efficacia dei nuovi anticoagulanti orali (tra loro e rispetto a warfarin) per la prevenzione dell’ictus nei pazienti affetti da fibrillazione atriale non valvolare (6). “Lo studio – ha commentato Danchin – ha messo in evidenza una riduzione del 39% del rischio di ictus associata al trattamento con apixaban rispetto a quello con warfarin. Inoltre, i sanguinamenti maggiori sono risultati del 44% meno frequenti nei pazienti trattati con questo anticoagulante. Riduzioni, queste, che sono risultate significative anche per quanto riguarda il dosaggio ridotto di 2,5 mg BID, spesso utilizzato nella pratica clinica (7), e i pazienti di età superiore agli 80 anni”.
Danchin ha poi illustrato i risultati dello studio NAXOS, presentati proprio all’ultima edizione del Meeting dell’ESC. Questo ha valutato l’efficacia e la sicurezza degli anticoagulanti orali apixaban, dabigatran e rivaroxaban per la prevenzione dell’ictus e dell’embolia sistemica in una coorte di pazienti con fibrillazione atriale non valvolare – la più ampia mai analizzata in questo setting – estratta dall’intera popolazione francese. Il trattamento con apixaban è risultato associato a una riduzione dei sanguinamenti maggiori rispetto sia agli antagonisti della vitamina K (51%) che a rivaroxaban (37%) e dabigatran (15%). Per quanto riguarda l’efficacia, invece, misurata attraverso l’incidenza di ictus e tromboembolismi sistemici, apixaban è risultato associato a una riduzione del 33% degli eventi rispetto agli antagonisti della vitamina K, mentre non sono emerse differenze rispetto a dabigatran e rivaroxaban.
“Abbiamo una mole importante di informazioni dai trial registrativi degli anticoagulanti diretti – ha commentato Roberta Rossini, cardiologa dell’AO S.Croce e Carle di Cuneo e Chairperson dell’Area Emergenza Urgenza ANMCO, intervistata a Parigi – ma sicuramente i dati del mondo reale offrono un’opportunità per approfondire i dati di sicurezza e di efficacia. Questo perché i pazienti non sempre sono adeguatamente rappresentati nei trial registrativi: spesso nella pratica clinica ci troviamo a trattare soggetti più anziani, con multiple comorbilità e quadri di fragilità importanti”.
Il tema della prevenzione degli eventi cardiovascolari è stato poi trattato in un altro simposio satellite tenutosi nella quarta giornata del Congresso di Parigi, caratterizzato da una forte impronta pratica. Qui le cardiologhe Isabelle Van Gelder dell’University of Groningen, Irina Savelieva della St George’s University of London e Tatiana Potpara della School of Medicine della Belgrade University, hanno commentato il caso di una donna di 78 anni con fibrillazione atriale e un elevato rischio di ictus. “Si tratta di un tipico soggetto che possiamo vedere nella pratica clinica – ha spiegato Savelieva con delle caratteristiche che la identificano come fragile”. La paziente in questione, infatti, aveva le seguenti caratteristiche: 58 Kg di peso, pressione sistolica di 163/92 mmHg, funzionalità renale caratterizzata da un CrCl di 46 mL/min, CHA2DS2-VASc di 6 e HAS-BLED di 3.
Alla domanda “quale anticoagulante prescrivere?” il pubblico presente si è espresso a favore dei NOAC. “Si deve agire sui fattori che aumentano il rischio di sanguinamento, come l’ipertensione – ha commentato Potpara – ma allo stesso tempo bisogna tener conto dei fattori non modificabili: non è possibile cambiare l’età di una persona, ma si può, ad esempio, programmare un follow up continuativo utile a monitorare il suo rischio di sanguinamento. Il beneficio maggiore che una paziente come questa può ottenere dai NOAC è proprio una maggiore sicurezza, soprattutto in termini di emorragie intracraniche, il cui rischio è del 50% minore rispetto agli antagonisti della vitamina K”.
“Quello che ci chiediamo sempre – ha spiegato Rossini – è se il paziente che noi stiamo trattando in ambulatorio è un paziente su cui abbiamo dei dati solidi. Abbiamo a volte il dubbio di non averne, proprio perché quello del trial è un paziente diverso: è più giovane e con meno comorbilità. In quest’ottica il dato che viene dal mondo reale è molto importante per confermare che i dati emersi dal trial registrativo siano validi anche per chi ci troviamo di fronte”. È tuttavia importante tenere sempre in considerazione anche i limiti delle analisi di real world: infatti, se i pazienti non vengono arruolati in un trial per la presenza di molteplici comorbilità è perché, ad esempio, è verosimile che abbiano un rischio ischemico ed emorragico più alto. Inoltre, nonostante sia possibile agire statisticamente sui bias di selezione, si tratta pur sempre di soggetti non randomizzati a cui il clinico ha deciso di somministrare il farmaco in modo arbitrario. “È importante saper contestualizzare il dato del mondo reale – ha quindi concluso Rossini – ed è importante, comunque, attenersi sempre in prima battuta a quelli dei trial registrativi”.
Fabio Ambrosino
▼1. Cowan JC, Wu J, Hall M, et al. A 10 year study of hospitalized atrial fibrillation-related stroke in England and its association with uptake of oral anticoagulation. European Heart Journal 2018; 39(32): 2975-2983.
2. Forslund T, Wettermark B, Andersen M, Hjemdahl P. Stroke and bleeding with non-vitamin K antagonist oral anticoagulant or warfarin treatment in patients with non-valvular atrial fibrillation: a population-based cohort study. Europace 2018; 20(3): 420-428.
3. Granger CB, Alexander JH, McMurray JJ, ARISTOTLE Committees and Investigators. Apixaban versus warfarin in patients with atrial fibrillation. New England Journal of Medicine 2011; 365: 981–992.
4. Kirchhof P, Benussi S, Kotecha D. 2016 ESC Guidelines for the management of atrial fibrillation developed in collaboration with EACTS. European Heart Journal 2016; 37(38): 2893–2962.
5. Knuuti J, Wijns W, Saraste A, et al. 2019 ESC Guidelines for the diagnosis and management of chronic coronary syndromes. European Heart Journal 2019: https://doi.org/10.1093/eurheartj/ehz425.
6. Lip GYH, Keshishian A, Li X, et al. Effectiveness and Safety of Oral Anticoagulants Among Nonvalvular Atrial Fibrillation Patients. The ARISTOPHANES Study. Stroke 2018; 49:2933–2944.
7. Deitelzweig S, KEshishian A, Li X, et al. Comparisons between Oral Anticoagulants among Older Nonvalvular Atrial Fibrillation Patients. Journal of the American Geriatrics Society 2019; 67: 1662-1671.