
Come si è evoluto negli ultimi anni il management dei pazienti con fibrillazione atriale (FA) in generale, con particolare attenzione alla terapia anticoagulante? Cosa ci dicono i trial più recenti e cosa dobbiamo aspettarci da quelli in corso? Quali sono i gap nell’evidenza ancora da colmare? E soprattutto come possiamo utilizzare meglio l’evidenza per ora disponibile, che non è poca, nella pratica clinica quotidiana? Se lo sono chiesto importanti esperti a livello internazionale durante l’affollatissimo Simposio satellite “Advances in anticoagulation to improve patient care in atrial fibrillation”, svoltosi nell’ambito del congresso annuale dell’European Society of Cardiology (ESC), in corso a Monaco di Baviera.
Renato Lopes della Division of Cardiology del Duke University Medical Center di Durham è partito facendo il punto su ciò che sappiamo per arrivare a quello che ancora non sappiamo sulla gestione della terapia anticoagulante nei pazienti con FA. Sono disponibili ancora troppi pochi dati sui pazienti con FA e insufficienza renale, sui quelli con FA sub-clinica, su quelli sottoposti ad ablazione, su quelli con FA di nuova insorgenza e cardioversione acuta, su quelli con FA e sindrome coronarica acuta (in trattamento con DAPT e anticoagulanti orali). Sono attualmente in corso tre trial sulla terapia con NOAC in pazienti in dialisi (AXADIA, RENAL-AF e STOP HARM) e due trial sui NOAC in pazienti con FA sub-clinica (ARTESIA e NOAH-AFNET), ha ricordato Lopes. E il trial EMANATE su apixaban in pazienti con FA sottoposti a cardioversione ha arruolato ben il 78% di pazienti con FA di nuova insorgenza, contrariamente a quanto accaduto con X-VERT ed ENSURE-AF, registrando dati assai incoraggianti. Nei pazienti con FA e ACS le strategie terapeutiche adottate sono troppo numerose ed eterogenee: maggiore chiarezza dovrebbe arrivare dal trial AUGUSTUS ACS/PCI, che dovrebbe essere presentato all’edizione 2019 dell’ACC e da ENTRUST AF-PCI, atteso per ESC 2019. “I NOAC sono oggi raccomandati al posto di warfarin per la prevenzione dell’ictus nei pazienti con FA, anche se il passaggio da warfarin agli anticoagulanti orali è stato più lento del previsto. Rimangono però ancora importanti gap nell’evidenza per numerosi sottogruppi di pazienti con FA: i trial in corso e quelli futuri ci aiuteranno a gestire meglio i nostri pazienti”.
Luigi Di Biase dell’Albert Einstein College of Medicine del Montefiore Hospital di New York si è concentrato nel suo intervento invece sull’importanza di una terapia anticoagulante peri-procedurale nell’ablazione della FA. “Il rischio di complicazioni tromboemboliche peri-procedurali in questo caso è soprattutto limitato ai pazienti con FA non parossistica e specialmente a quelli con FA persistente, quindi i futuri trial che metteranno a confronto NOAC e warfarin dovrebbero arruolare solo pazienti con queste caratteristiche”. Il trial finora effettuato con il maggior numero di arruolati con FA non parossistica, AXAFA, ha dimostrato la non inferiorità di apixaban in questo setting. Una revisione sistematica effettuata da un team di ricercatori tra i quali figurava anche lo stesso De Biase ha confermato che non c’è una significativa differenza tra la somministrazione continua peri-procedurale di NOAC e VKA per gli outcome presi in esame (sanguinamenti maggiori e minori, eventi tromboembolici, infarto cerebrale silente), ma che è stato registrato un trend verso la minor incidenza di sanguinamenti maggiori nel gruppo DOAC. Nel 2017 lo “HRS/EHRA/ECAS/APHRS/SOLAECE expert consensus statement on catheter and surgical ablation of atrial fibrillation” ha peraltro sancito che l’ablazione via catetere della FA su pazienti adeguatamente sottoposti a terapia anticoagulante ininterrotta con warfarin o NOAC è raccomandata.
Gregory Y.H. Lip dell’University of Birmingham e del National Institute for Health Research (NIHR) ha voluto ricordare la grande importanza dei dati “real world”, spesso distanti da quelli raccolti con i trial clinici. Non è una questione teorica o filosofica: se per esempio si confrontano gli outcome clinici dei partecipanti al trial AMADEUS sulla terapia con VKA nei pazienti con FA e quelli dei pazienti real world, si nota immediatamente che la maggiore, inevitabile eterogeneità della popolazione trattata nella pratica clinica quotidiana si traduce in un rischio sensibilmente più elevato di sanguinamenti maggiori, ictus e mortalità. “È per questo che gli studi osservazionali che impiegano dati real world sono più vicini alla pratica clinica quotidiana. Per servire meglio i consumatori di evidenze – pazienti, clinici, comitati che si occupano di stilare linee guida, enti regolatori – gli studi dovrebbero essere classificati in base alla metodologia (osservazionale o interventistico) e alla fonte dei dati (real world o no)”, spiega Lip. Se si analizzano i dati real world disponibili, si nota che l’utilizzo dei NOAC nella pratica clinica è molto variabile, legato a fattori imprevedibili nei trial clinici, come la regione geografica di appartenenza del paziente o altre sue caratteristiche personali. Tra i NOAC, si osserva un trend per un utilizzo più diffuso di apixaban nei pazienti più anziani, con funzione renale compromessa e storia di sanguinamenti. “Nonostante le premesse, i dati sui NOAC nella pratica clinica che abbiamo a disposizione paiono confermare quelli emersi dai trial randomizzati: per quanto riguarda apixaban, per esempio, i dati real world supportano le conclusioni del trial ARISTOTLE, con riduzione di ictus e sanguinamenti maggiori rispetto ai VKA”, ha concluso Lip.
Come integrare meglio i dati che arrivano dai trial clinici nella pratica clinica? Se lo è domandato Hein Heidbuchel dell’University of Antwerp, Presidente Eletto EHRA, nel suo intervento, che ha concluso il simposio: “I punti cardine di una cura integrata della FA sono il coinvolgimento del paziente, l’implementazione di team multidisciplinari, l’utilizzo di tool tecnologici e l’accesso a tutti i trattamenti disponibili. Tutti gli studi che hanno misurato gli outcome dell’adozione di una cura integrata hanno dimostrato che si tratta di una strategia che porta grandi risultati sia dal punto di vista clinico che finanziario”. Questo è il principio su cui è basata del resto la “2018 Heart Rhythm Association Practical Guide on the use of non-vitamin K antagonist oral anticoagulants in patients with atrial fibrillation”, presentata al congresso EHRA di Barcellona, che ha introdotto molte significative novità. Heidbuchel ha poi raccontato la sua personale esperienza sull’utilizzo di un tool dedicato all’educazione dei pazienti con FA, che ha portato ad eccellenti risultati. “Portare le evidenze scientifiche nella pratica clinica quotidiana è una sfida che va affrontata con una assistenza integrata e strutturata, che non può prescindere dall’educazione continua dei clinici ma anche dei pazienti”.
David Frati