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COMMANDER HF: scompenso, ritmo sinusale e coronaropatia

By 27 Agosto 2018Settembre 15th, 2021No Comments
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COMMANDER HF

Dopo un episodio di peggioramento dello scompenso cardiaco, il trattamento con rivaroxaban non riduce il rischio di andare incontro a morte o a eventi cardiovascolari nei pazienti con ritmo sinusale e malattia coronarica. A dirlo i risultati del trial COMMANDER HF, presentati al Meeting annuale dell’European Society of Cardiology in corso a Monaco di Baviera e pubblicati sul New England Journal of Medicine.

Lo studio ha preso in considerazione 5.022 pazienti, provenienti da 28 Paesi, caratterizzati da un recente episodio di peggioramento dello scompenso cardiaco, una frazione di eiezione ridotta (<40%), ritmo sinusale e una diagnosi di malattia coronarica (in assenza di fibrillazione atriale). Questi sono stati randomizzati per ricevere un trattamento con rivaroxaban (2,5 mg due volte al giorno per via orale) o un placebo. L’utilizzo delle terapie indicate nelle linee guida per il trattamento dello scompenso cardiaco e delle coronaropatie (diuretici, ACE-inibitori, beta-bloccanti, antagonisti recettoriali dei mineralcorticoidi) è stato bilanciato tra i due gruppi. L’endpoint primario, in termini di efficacia, era costituito da mortalità per tutte le cause, infarto miocardico e ictus. Per quanto riguarda la sicurezza, invece, è stato preso in considerazione un endpoint composito di sanguinamento fatale o potenzialmente disabilitante.

Dopo un follow-up di 21,1 mesi, l’endpoint di efficacia si è verificato in 626 (25,0%) dei 2.507 pazienti del gruppo sperimentale e in 658 (26,2%) dei 2.515 del gruppo di controllo (HR 0,94 I.C. 95% 0,84 – 1,05, p=0,27). Non sono emerse differenze tra i due gruppi in termini di mortalità per tutte le cause (HR 0,98 I.C. 95% 0,87 – 1,10, p=0,74) e infarto miocardico non fatale (HR 0,83 I.C. 95% 0,63 – 1,08, p=0,17) mentre è stato registrato un tasso minore di ictus non fatali nel gruppo sottoposto a trattamento con rivaroxaban (HR 0,66 I.C. 95% 0,47 – 0,95, p=0,23). L’endpoint relativo alla sicurezza, invece, si è verificato in 18 (0,7%) dei soggetti del gruppo sperimentale e in 23 (0,9%) di quelli del gruppo di controllo. Prendendo come riferimento la definizione dell’International Society on Thrombosis and Haemostasis (ISTH) – calo dei livelli di emoglobina pari o superiore a 2 g/dL (1,24 mmol/L) –  i pazienti sottoposti a trattamento con rivaroxaban sono risultati associati a un rischio maggiore di sanguinamento (HR 1,68 I.C. 95% 1,18 – 2,39, p=0,003). Infine, eventi avversi gravi si sono verificati rispettivamente in 479 (19,2%) e in 451 (18,0%) pazienti dei gruppi sperimentale e di controllo.

“La ragione più probabile per cui rivaroxaban ha fallito nel migliorare l’outcome primario di efficacia è che gli eventi trombino-mediati non sono i più comuni tra quelli cardiovascolari che colpiscono i pazienti con una recente ospedalizzazione per scompenso cardiaco”, ha commentato Faiez Zanned, docente dell’University of Lorraine e responsabile della ricerca. “Al momento non è possibile sapere se una dose superiore di rivaroxaban avrebbe portato a risultati più favorevoli”.

Fabio Ambrosino

* Zannad F, Anker SD, Byra WM, et al. Rivaroxaban in Patients with Heart Failure, Sinus Rhythm, and Coronary Disease. New England Journal of Medicine 2018; DOI: 10.1056/NEJMoa1808848