Skip to main content

La mortalità per IM ha raggiunto un plateau

By 27 Agosto 2018Settembre 15th, 2021No Comments
Dai congressi

Negli ultimi 8 anni la mortalità per infarto del miocardio (IM) ha raggiunto un plateau, non diminuisce nonostante i notevoli avanzamenti scientifici e le nuove opzioni terapeutiche a disposizione. L’allarme arriva dall’analisi del registro SWEDEHEART (Swedish Web-system for Enhancement and Development of Evidence-based care in Heart disease Evaluated According to Recommended Therapies), presentata al congresso annuale dell’European Society of Cardiology (ESC) in corso a Monaco di Baviera.

Tomas Jernberg della Danderyd University Hospital e del Karolinska Institutet di Stoccolma spiega: “SWEDEHEART è un registro nazionale unico che quindi ci permette di analizzare le caratteristiche dei pazienti svedesi con IM, le strategie terapeutiche applicate e gli outcome ottenuti”. I ricercatori svedesi hanno analizzato i dati su 371.431 pazienti tra 1995 e 2018. Aggiunge Jernberg: “Dal 1995 al 2009, con la graduale implementazione di nuovi trattamenti efficaci come la PCI, la duplice terapia antiaggregante, le statine e gli ACE-inibitori, abbiamo assistito a una sostanziale riduzione della mortalità ad 1 anno nell’IM acuto, dal 25% a circa il 15%. Ciononostante, durante gli ultimi 6-8 anni questi tassi di mortalità sembrano aver raggiunto un plateu e sono rimasti pressoché invariati. È interessante notare che questo fenomeno ha riguardato per primi i pazienti con STEMI e solo successivamente quelli NSTEMI. Questo è dovuto al fatto che tra 1995 e 2009 ci sono stati marcati cambiamenti nell’approccio alla gestione dei pazienti con IM, con quelli STEMI più frequentemente avviati alla PCI e quelli NSTEMI più frequentemente sottoposti ad angiografia coronarica: appena la percentuale di queste procedure si è livellata, lo stesso è successo ai tassi di mortalità”.

Il clinico svedese conclude: “Abbiamo urgente bisogno di una personalizzazione maggiore dei trattamenti, soprattutto quelli più costosi, così da poter avere approcci terapeutici più costo-effettivi. Ma soprattutto abbiamo bisogno di terapie innovative che ci consentano di migliorare sensibilmente gli outcome nei pazienti con IM”.

David Frati