Skip to main content

Gestione del paziente con TEV, una realtà in evoluzione

By 28 Agosto 2018Settembre 15th, 2021No Comments
Dai congressi
TEV

La gestione del paziente con tromboembolismo venoso (TEV) è una realtà in continua evoluzione: qual è il ruolo dei NOAC in questo processo? Cosa ci dice l’evidenza? In quali pazienti la durata della terapia anticoagulante dovrebbe essere estesa e perché? E come affrontare la complessità di un paziente oncologico con TEV? Di questo e di altro si è discusso nell’affollatissimo simposio satellite “Transforming patient care in VTE – the role of NOACs”, svoltosi nell’ambito del congresso annuale dell’European Society of Cardiology (ESC), in corso a Monaco di Baviera.

Stavros V. Konstantinides (Center for Thrombosis and Hemostasis – University Medical Center, Mainz) ha innanzitutto posto l’accento su una delle questioni più importanti sul tappeto, la durata della terapia anticoagulante: “Ogni paziente con TEV dovrebbe ricevere come minimo 3 mesi di terapia anticoagulante. E dopo questo periodo, che può essere esteso a 6 mesi, i clinici devono decidere se continuare la terapia anticoagulante o interromperla a seconda della situazione e delle caratteristiche del paziente. Il TEV è una patologia cronica, e questo è chiaramente indicato dai tassi di recidiva a medio e lungo termine nei pazienti che interrompono la terapia anticoagulante. Si è anche notato che dopo l’interruzione della terapia anticoagulante il rischio di recidiva è indipendente dalla durata della terapia anticoagulante effettuata. La questione quindi non è se i nostri pazienti con TEV debbano ricevere 3,4,6 o 18 mesi di terapia anticoagulante: la questione è se debbano riceverla a tempo indeterminato o no. Dopo 3-6 mesi di terapia il clinico deve mettere sulla bilancia il rischio di TEV ricorrente e il rischio di sanguinamenti e prendere una decisione”.

Cosa abbiamo imparato dai trial randomizzati effettuati finora sui NOAC? Se lo è chiesto Alexander “Ander” Cohen (Vascular Medicine/Haematology, Guy’s and St. Thomas’ Hospitals, King’s College London), che ha concluso: “Tutti i NOAC si sono dimostrati non inferiori a eparina a basso peso molecolare (LMWH)/warfarin nel ridurre il rischio di TEV e di decessi TEV-correlati, ma hanno mostrato differenti profili relativamente al sanguinamento. Con apixaban il rischio di sanguinamenti maggiori e sanguinamenti non maggiori clinicamente rilevanti (CRNM) è significativamente ridotto rispetto a LMWH/warfarin. Apixaban in monoterapia ha un’efficacia sovrapponibile alle terapie di combinazione, con rischio di sanguinamento maggiore ridotto sin dai primi 7 giorni di trattamento, e ha dimostrato di ridurre la quantità e la durata delle riospedalizzazioni. Le linee guida infatti oggi suggeriscono l’utilizzo di NOAC al posto di LMWH/VKA (American College of Chest Physicians) o lo raccomandano come alternativa al trattamento con LMWH/VKA (European Society of Cardiology) nei pazienti con TEV non oncologici”.

Come selezionare i pazienti da avviare alla terapia anticoagulante prolungata? Secondo David Jiménez (Departamento de Neumología, Hospital Universitario Ramón y Cajal, IRYCIS, Madrid) “I candidati migliori sono i pazienti con TEV non provocato già sottoposti a terapia anticoagulante per un periodo di 3-12 mesi, i pazienti che non hanno avuto un sanguinamento maggiore nei primi 3 mesi di trattamento, i pazienti in cui il rischio di TEV ricorrente è considerato più rilevante di un episodio di sanguinamento maggiore”. La chiave di tutto dunque è la valutazione rischio-beneficio: ma come sta cambiando e perché? Ha continuato Jiménez: “È l’evidenza che sta modificando la percezione dei clinici su rischi e benefici di una terapia anticoagulante prolungata: NOAC e VKA sono stati confrontati a placebo nella terapia anticoagulante a lungo termine dei pazienti con TEV e si sono dimostrati tutti superiori a placebo nel ridurre il rischio di TEV ricorrente, con diversi profili di sanguinamento. L’aspirina non è considerata una ragionevole alternativa alla terapia anticoagulante nei pazienti che necessitano di un trattamento a lungo termine. È stato dimostrato un ridotto rischio di sanguinamento con i DOAC rispetto ai VKA nel trattamento del TEV. Insomma, il profilo di rischio-beneficio sta cambiando”.

A Giancarlo Agnelli (Medicina Interna e Cardiovascolare – Stroke Unit, Università di Perugia) il compito di occuparsi dei pazienti oncologici con TEV, una popolazione molto ampia. “Nei trial di Fase III sui NOAC in media osserviamo un 3-10% di pazienti con cancro, ma nella nostra pratica quotidiana la percentuale è di circa il 20%. E si tratta di pazienti complessi: le interazioni tra farmaci possono essere clinicamente molto rilevanti e le insufficienze epatiche e renali sono molto comuni. I dati che ricaviamo dai trial che s sono occupati di questa popolazione – AMPLIFY, EINSTEIN-DVT, EINSTEIN PE, HOKUSAI VTE CANCER, RE-COVER I & II – ci suggeriscono che i NOAC possano diventare un’alternativa alla terapia anticoagulante convenzionale nei pazienti oncologici on TEV. I trial in corso – CASTA-DIVA, CONKO-011, ADAM VTE, CARAVAGGIO (questi ultimi specificatamente su apixaban) – ci forniranno sicuramente nei prossimi anni altre essenziali informazioni sul ruolo potenziale dei NOAC in questa popolazione a rischio”.

David Frati