Quale ruolo hanno oggi e possono avere in futuro i NAO nel trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale subclinica o sottoposti a procedure mini-invasive? Se lo sono domandato alcuni esperti internazionale in occasione del Simposio “Leading the way to improved stroke prevention with NOACs”, svoltosi a Barcellona nell’ambito del Congresso annuale dell’European Society of Cardiology (ESC), in corso in questi giorni.
Paulus Kirchhof, Professore di Medicina Cardiovascolare all’University of Birmingham, ha esposto le conclusioni del trial EMANATE, che ha messo a confronto la terapia con apixaban e quella con eparina/anagonisti della vitamina K in pazienti con fibrillazione atriale, naive agli anticoagulanti orali e schedulati per cardioversione. “I dati di EMANATE dimostrano che i NAO rappresentano una ottima alternativa a eparina e antagonisti della vitamina K in pazienti di questo tipo”, ha spiegato Kirchhof. “In particolare apixaban si è dimostrato efficace e sicuro in questo setting”.
Sui dati di EMANATE abbiamo sentito anche l’opinione di Sakis Themistoclakis (Ospedale dell’Angelo, Venezia Mestre).
Hein Heidbuchel, Direttore del Dipartimento di Cardiologia dell’Antwerp University Hospital, si è occupato delle strategie di prevenzione dell’ictus e la gestione del sanguinamento nei pazienti da sottoporre ad ablazione della vena polmonare. “Le evidenze in questo ambito derivano per il momento da piccoli studi molto eterogenei nei protocolli, anche e altri trial importanti sono in corso, per esempio AXAFA. Finora le meta-analisi dei dati ci dicono che il rischio di eventi trombo-embolici (TEE) nei pazienti sottoposti a isolamento della vena polmonare (PVI) è praticamente lo stesso sia se li trattiamo con NAO che con VKA, ma che i NAO garantiscono un beneficio in termini di minor sanguinamento”.
Marco Alings, Direttore del Cardiology training program all’Amphia Ziekenhuis di Breda , si è domandato se il trattamento con NAO è indicato nei pazienti con fibrillazione atriale subclinica: “Si tratta di una patologia molto più comune di quanto non si creda, presente non solo nei portatori di pacemaker ma circa nel 25-30% degli over 65. Il rapporto tra rischio e beneficio in questi pazienti può essere molto diverso rispetto a quelli con una fibrillazione atriale franca: il rischio assoluto e relativo di ictus nella FASC è molto inferiore, e questo pone anche un problema di costi al clinico. Due trial di grande importanza – ARTESiA e NOAH – sono in corso per definire il ruolo della terapia anticoagulante nei pazienti con FASC”.