
La terapia ipolipidemizzante mediante inibitori di PCSK9 non aumenta il rischio a breve termine di insorgenza di diabete di tipo 2. Lo afferma una revisione sistematica presentata al Congresso annuale dell’European Society of Cardiology (ESC), in corso a Barcellona.
“Sappiamo da tempo che le mutazioni del gene PCSK9 sono associate allo sviluppo di diabete di tipo 2”, spiega Luiz Sérgio Carvalho del Laboratory of Atherosclerosis and Vascular Biology (AtheroLab) dell’University of Campinas (UNICAMP) di São Paulo. “È stato quindi ipotizzato che il trattamento con inibitori di PCSK9 favorisca l’insorgenza del diabete di tipo 2”. Per valutare tale ipotesi, i ricercatori brasiliani hanno preso in esame tutti gli studi sui PCSK9 vs placebo nei pazienti con ipercolesterolemia primaria. Outcome primario, i tassi di emoglobina glicata (HbA1c) e di glicemia a digiuno oppure una nuova diagnosi di diabete di tipo 2.
Il team di Carvalho ha poi selezionato 20 trial randomizzati riguardanti in totale 68.123 pazienti di età media 60 anni, con 103 mg/dL di glicemia a digiuno media e HbA1c del 5,89%. È emerso dall’analisi dei dati complessivi che confrontati con placebo gli inibitori di PCSK9 sono associati ad un aumento della glicemia a digiuno approssimativamente del 2% annuo e ad un aumento dei livelli di HbA1c dello 0,05% annuo. Il rischio relativo vs placebo di insorgenza di diabete di tipo 2 nei pazienti trattati con inibitori di PCSK9 è risultato quindi di 1,04 (95%, CI 0,96–1,13).
“Questi piccoli cambiamenti nella glicemia a digiuno e nella emoglobina glicata non sono sufficienti ad aumentare l’incidenza di diabete di tipo 2 nel breve termine nella popolazione dei pazienti trattai con inibitori di PCSK9”, commenta Carvalho. “Se anche questi farmaci dovessero rivelarsi diabetogeni nel lungo termine in modo lieve o moderato, non è il caso di modificare le linee guida per la prescrizione di inibitori di PCSK9, dato il loro sostanziale contributo nella riduzione e rischio cardiovascolare”.
David Frati