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Trombosi, sanguinamenti, ictus: migliorare la cura del paziente con i NOAC

By 13 Settembre 2016Settembre 15th, 2021No Comments
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Al Congresso della European Society of Cardiology (ESC), svoltosi a Roma dal 27 al 31 agosto 2016, si è parlato delle ultime novità in tema di terapia anticoagulante anche durante il partecipatissimo simposio Oral anticoagulation, thrombosis and bleeding ‒ Improving patient care with NOACs.

A sintetizzare il quadro attuale su questo tema è Felicita Andreotti dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma: “Il rilascio delle nuove linee guida ESC sulla fibrillazione atriale è una tappa di grande importanza in questo campo, perché raccomanda il trattamento con i NOAC per la prevenzione dell’ictus nei pazienti con FA e fattori di rischio per l’ictus con score CHA2DS2-VASc ≥ 2 in classe 1A (escludendo i pazienti con valvole meccaniche o con stenosi mitralica da moderata a severa, affetti cioè da fibrillazione atriale valvolare, definizione peraltro consolidata proprio in questo ESC 2016). I trial randomizzati con i dati più importanti riguardanti la terapia anticoagulante nella fibrillazione atriale non valvolare (FANV) sono ARISTOTLE (apixaban vs warfarin), AVERROES (apixaban vs aspirina), RE-LY (dabigatran in diversi dosaggi vs warfarin) ROCKET AF (rivaroxaban vs warfarin) ed ENGAGE AF-TIMI (edoxaban in diversi dosaggi vs warfarin). I numeri ci dicono che il trattamento con i NOAC rispetto a quello con warfarin determina una significativa riduzione del rischio di ictus, raggiunta soprattutto con una riduzione di circa il 50% del rischio di ictus emorragico, per cui i NOAC possiedono un profilo di rischio-beneficio migliore al warfarin a fronte di un rischio simile di sanguinamento maggiore. Nei pazienti non eleggibili al trattamento con warfarin, solo apixaban ha dimostrato (grazie allo studio Averroes) un’efficacia superiore ad aspirina nel ridurre il rischio di ictus ed embolia sistemica senza un aumento significativo del rischio di sanguinamento. Non sono ancora disponibili dati di trial con confronti testa a testa tra i diversi NOAC, li attendiamo con interesse”.

La terapia anticoagulante in pazienti con FANV ha quindi un ruolo centrale nella gestione della prevenzione dell’ictus, confermato anche dai trial: ma nel setting clinico dei “Real World”, così diverso da quello controllato dei grandi trial randomizzati, come si traducono questi dati? Spiega Gregory Lip della University of Birmingham: “Sebbene metodologicamente molto diversa, la ricerca sui dati di Real World può completare e rafforzare i risultati dei trial randomizzati. Naturalmente questo tipo di ricerca è molto influenzata dallo standard delle cure del paese in cui è svolta e dalle caratteristiche della popolazione presa in esame. Allo stato attuale, i Real World data più consolidati che abbiamo sono quelli che riguardano la sicurezza dei NOAC, in particolare sui sanguinamenti; si tratta di dati molto simili tra loro anche se derivano da data base di luoghi molto diversi e sono stati raccolti con metodologie molto eterogenee. Sta emergendo una vasta evidenza sul tema della prevenzione dell’ictus e questo rappresenterà senza dubbio uno strumento prezioso nell’immediato futuro”. “I pazienti del mondo reale presentano mediamente un grande numero di comorbilità”, aggiunge Harald Darius della Vivantes Klinikum Neukölln di Berlino, quali: insufficienza renale, scompenso cardiaco, ipertensione, malattia coronarica, postumi da un ictus precedente Inoltre nei pazienti anziani l’età determina dei cambiamenti fisiologici che impattano profondamente sulla farmacocinetica. A complicare il quadro, il fatto che i pazienti anziani o quelli con insufficienza renale sono spesso sottotrattati per la prevenzione dell’ictus, nonostante i NOAC abbiano mostrato un buon profilo di rischio/beneficio in questa popolazione di pazienti, naturalmente con gli aggiustamenti del dosaggio necessari a seconda dell’età e della funzione renale del paziente”. Un altro tipo di paziente molto interessato a questa opzione terapeutica è quello affetto da tromboembolismo venoso. Spiega Alexander (Ander) Cohen dei Guy’s and St Thomas’ Hospitals di Londra: “I pazienti con TEV ‒ sia trombosi venosa profonda sia embolia polmonare ‒ trattati con i NOAC presentano meno sanguinamenti (anche maggiori), soprattutto meno sanguinamenti a livello cerebrale e meno casi fatali di sanguinamento rispetto a quelli trattati con VKA (per la quale esiste l’antidoto). Questa riduzione dei sanguinamenti ovviamente conduce a un netto beneficio clinico, a un minore tasso di ospedalizzazioni e alla possibile gestione domiciliare di pazienti selezionati”.

Jeff Healey della McMaster University di Hamilton pone ancora di più l’accento sullo spinoso tema dell’undertreatment della FA: “Abbiamo una patologia, la fibrillazione atriale, che ha una elevata prevalenza. Abbiamo dei farmaci, i NOAC, che sono ben tollerati, convenienti e molto efficaci. Eppure i NOAC ancora non vengono prescritti a tantissimi pazienti per i quali sarebbero indicati. Lo screening per la FA ‒ anche mediante strumenti innovativi ‒ rappresenta una strategia importante di prevenzione dell’ictus, ma ha bisogno di essere implementato e va accompagnato con una corretta strategia di trattamento farmaceutico”.

Il commento di Pasquale Pignatelli

Quali soluzioni possono e devono essere adottate nella pratica clinica quotidiana per ottimizzare le strategie terapeutiche anticoagulanti e così prevenire con maggiore efficacia l’insorgenza di ictus nei pazienti con fibrillazione atriale? Se ne è discusso all’affollato simposio Personalized treatment strategies for stroke prevention in atrial fibrillation – a perspective 5 years after ARISTOTLE. A cinque anni dal trial ARISTOTLE (presentato proprio durante il Congresso ESC, nel 2011), che ha comparato apixaban con warfarin evidenziando un significativo vantaggio della terapia con apixaban nella prevenzione di ictus o embolia sistemica, era importante fare il punto per valutare la penetrazione di questi dati così importanti nella pratica clinica quotidiana.

“I dati di ARISTOTLE riguardano una grande varietà di pazienti, tutti con diagnosi di FA e almeno un fattore di rischio per ictus, ma assai diversi tra loro: anziani, donne, pazienti con insufficienza renale, pazienti con storia di cadute e così via”, avverte Christopher Granger, direttore della Critical Care Unit del Duke University Medical Center. “Le buone notizie per loro sono che gli anticoagulanti orali sono efficaci. La cattiva notizia è che sono ancora usati troppo poco. Solo circa metà dei pazienti con FA è trattato con anticoagulanti orali. Spesso motivazioni non valide, come la tendenza a cadere sono tra le cause della non prescrizione degli anticoagulanti. Va sottolineato con forza che i benefici di una corretta terapia anticoagulante sono evidenti anche nei pazienti più anziani e soggetti a cadute o in quelli con comorbilità più numerose: anzi, i dati su apixaban e sulla netta riduzione di tutti i tipi di sanguinamento rispetto alla terapia con warfarin hanno una importanza particolare proprio per questa popolazione di pazienti fragili. Particolarmente preoccupante poi è l’utilizzo di aspirina anziché di una corretta terapia anticoagulante: non è una scelta né sicura né efficace nella prevenzione dell’ictus e i dati lo dimostrano. L’uso di aspirina inoltre è sconsigliato anche in associazione a un anticoagulante orale perché aumenta drammaticamente il rischio di sanguinamenti. C’è poi chi pare ritenere che la forma di FA parossistica (specialmente il primo episodio, o rari episodi di FA) sia a basso rischio di ictus: il rischio è invece più o meno lo stesso e una terapia anticoagulante è chiaramente indicata anche in questa forma di FA La presunta mancanza di antidoti per i NOAC? Ce ne sono già in commercio e altri sono in fase di sviluppo avanzata”.

Stefan H. Hohnloser della J.W. Goethe University di Frankfurt Am Main si è concentrato su un’altra popolazione a rischio, quella dei pazienti con FA e insufficienza renale: “Si tratta di una percentuale che viaggia tra il 30 e il 40% dei pazienti con diagnosi di FA; è un dato essenziale, perché le patologie renali croniche aumentano il rischio di ictus, sanguinamento e mortalità. Infatti i pazienti con concomitanti patologie renali croniche presentano tassi di ictus e sanguinamento più elevati dei pazienti con una normale funzionalità renale. Non ci sono molti trial randomizzati su pazienti con FA e gravi disfunzioni renali, ma dai dati che abbiamo possiamo affermare che i NOAC sembrano una scelta ragionevole nei pazienti con FA e insufficienza renale da lieve a moderata. I dati di ARISTOTLE ci dicono che nei pazienti trattati con apixaban sia il rischio di ictus che di sanguinamenti diminuiscono significativamente rispetto al trattamento con warfarin, a patto di monitorare regolarmente la funzionalità renale del paziente”.

Uno strumento essenziale per la classificazione e il monitoraggio del rischio di ictus o di sanguinamento nei pazienti con FA è l’indice di rischio (risk score) definito ABC (Age, Biomarker, Clinical factor), che è stato messo a punto partendo proprio dai dati dei pazienti arruolati nel trial ARISTOTLE. Spiega Lars Wallentin dell’Uppsala Clinical Research Center dell’Uppsala University: “Si tratta di uno score validato e ben calibrato, che garantisce una predizione del rischio migliore di CHA2DS2-VASc o ATRIA per l’ictus e HAS-BLED od ORBIT per il sanguinamento. Se ne consiglia dunque l’utilizzo ‒ in attesa di ulteriori test nella real life e nei trial clinici ‒ per una migliore stratificazione del rischio e per supportare meglio le decisioni del clinico nel trattamento dei pazienti con FA. Nel frattempo analizzando gli outcome del trial con l’ABC risk score si evidenza chiaramente un vantaggio nella terapia con apixaban vs warfarin”.

Le opinioni a confronto di Giuseppe Patti e Francesco Pelliccia