
Una volta di più, il congresso ESC è stato caratterizzato da grandi numeri: un picco di più di 33.000 presenze, 26 presentazioni Hot Line, aggiornamenti da 21 studi clinici, 4 nuove linee guida pratiche (fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, dislipidemie e prevenzione cardiovascolare) e 1 position paper (cardio-oncologia), quasi 5.000 abstract. Numeri che non sfigurano accanto a quelli dell’American Heart.
Geneviève Derumeaux, Presidente del Comitato Scientifico del Congresso, ha evidenziato come sia stata una tra le edizioni più ricche dal punto di vista del programma scientifico: “I cardiologi e gli altri operatori sanitari continuano a considerare il Congresso ESC come il luogo in cui aggiornarsi sui più recenti sviluppi in ambito cardiologico, e in cui incontrare esperti da tutto il mondo nelle differenti aree di ricerca”, ha aggiunto con soddisfazione. La partecipazione è stata anche molto “social”: più di 28.000 tweet e più di 158 milioni di impression. Il trend è in costante crescita e conferma quanto l’aggiornamento medico possa essere di qualità anche nell’immediatezza della condivisione con la community, per quanto Twitter sia ancora sottoutilizzato dalla cardiologia italiana.
Ma dal punto di vista della qualità dei contenuti? Lasciando da parte l’interessante controversia suscitata dalle nuove linee guida sulle dislipidemie (ci basti ricordare, con Alberico Catapano, che i limiti sono rimasti invariati rispetto alle precedenti del 2011), limitiamoci a rammentare due trial tra i molti che meriterebbero menzione.
Secondo il Presidente della Commissione Media dell’ESC, Steen Dalby Kristensen, tra i trial di maggior rilievo a questo ESC va sicuramente citato il DANISH, sui possibili benefici dell’impianto di ICD in pazienti con scompenso cardiaco severo e quadro coronarico normale. Dal 2008 al maggio 2014 il trial ha arruolato 1.116 pazienti con scompenso cardiaco da disfunzione sistolica di origine non ischemica ed elevati livelli di NT-proBNP; 556 pazienti hanno ricevuto l’impianto di un ICD mentre i restanti 560 sono stati sottoposti a terapia standard. Nel 58% dei pazienti di entrambi i gruppi è stata utilizzata la CRT. Oltre il 90% dei pazienti di entrambi i gruppi è stata trattata con betabloccanti, ACE-inibitori, ARB e circa il 60% con inibitori dei recettori dei mineralocorticoidi, come trattamento di base dello scompenso cardiaco. Il follow-up mediano è stato di 67 mesi. Per quanto riguarda l’outcome primario, la morte per tutte le cause, non sono emerse differenze significative: nel gruppo con ICD sono stati registrati 120 decessi (il 21,6% dei pazienti) e 131 (il 23,4% dei pazienti) nel gruppo di controllo. Anche per la morte per cause cardiovascolari non si sono registrati dati significativi: 77 pazienti (13,8%) nel gruppo ICD e 95 pazienti (17%) nel braccio di controllo. Per 24 pazienti (4,3%) del gruppo ICD e per 46 pazienti (8,2%) del gruppo di controllo si è avuta morte cardiaca improvvisa, con una differenza percentuale statisticamente significativa del 3,9%. L’analisi dei risultati nei sottogruppi si è dimostrata per lo più in linea con i risultati principali dello studio, con una sola eccezione: nel gruppo ICD è deceduto un minor numero di pazienti con età <59 anni [HR= 0,51 (95% CI 0.29–0.92)]. I dati di sicurezza sono stati sostanzialmente sovrapponibili: infezioni del device si sono verificate nel 4,9% e nel 3,6% del gruppo ICD e del gruppo di controllo, rispettivamente.
In evidenza anche il REVERSE II, trial multinazionale che ha testato il protocollo HERDOO2 su un totale di 2.779 pazienti (età media 54,4 anni) con esordio di TEV non provocato che avevano completato una terapia anticoagulante durata dai 5 ai 12 mesi. HERDOO2 prende il nome da quattro fattori di rischio che determinano il rischio di recidiva di TEV: 1) comparsa di iperpigmentazione, edema o arrossamento su uno degli arti inferiori; 2) D-dimero > 250 μg/ml con terapia anticoagulante; 3) obesità con indice di massa corporea >30 kg/m2; 4) età >65 anni. Questo score considera le donne (e non gli uomini) a basso rischio se possiedono uno o nessuno di questi 4 fattori. Complessivamente, in base ai criteri HERDOO2, 622 pazienti donne sono state giudicate a basso rischio e per la maggior parte di esse è stata decisa l’interruzione della terapia anticoagulante. Gran parte delle 591 donne considerate a rischio elevato, invece, hanno continuato la terapia anticoagulante. A un anno, le donne a basso rischio che avevano interrotto gli anticoagulanti hanno mostrato un tasso di recidiva di TEV del 3% per paziente anno (outcome primario) rispetto al tasso dell’8,1% in pazienti ad elevato rischio in cui la terapia era stata interrotta e al tasso dell’1,6% in quelli a rischio elevato ancora in trattamento anticoagulante. Si tratta di un risultato importante: applicando lo HERDOO2, in più della metà delle donne con esordio di TEV non provocato si può interrompere la terapia anticoagulante in sicurezza, con un risparmio in termini di costi e rischi legati alla terapia anticoagulante a vita. Le linee guida attuali suggeriscono di proseguire il trattamento anticoagulante nei pazienti con TEV non provocato e rischio emorragico non elevato per un tempo indeterminato, pertanto questi risultati ci pongono di fronte a un potenziale cambio della pratica clinica.
Vedremo se, tra le novità che ci riserverà l’edizione 2017 a Barcellona, potremo annoverare una conferma e un consolidamento di questi dati. In ogni caso, tra i take home message di questo congresso emerge un’altra rassicurante conferma: anche i trial negativi sono importanti. A riprova che, citando John Mandrola, “la cardiologia è abbastanza matura, adesso, per cui non dovremmo più aspettarci risultati in grado di incidere in maniera massiccia sulle cure”.
Livia Costa