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La fibrillazione atriale nel mondo reale

A cura di Rossella Marcucci By 2 Dicembre 2015Marzo 29th, 2022No Comments
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La fibrillazione atriale colpisce circa il 2% della popolazione adulta e il numero dei pazienti che ne soffre è in costante crescita a causa dell’invecchiamento della popolazione generale. Questa aritmia è associata ad un aumento significativo di morbilità e mortalità, legate per lo più all’ictus ischemico e al tromboembolismo sistemico. Globalmente, i pazienti in fibrillazione atriale hanno un rischio 5 volte maggiore di sviluppare un ictus ischemico rispetto alla popolazione in ritmo sinusale: sono stati elaborati numerosi score di rischio che consentono di stratificare i pazienti con fibrillazione atriale e di riconoscere, all’interno di questa categoria molto ampia di pazienti, quelli a così basso rischio di eventi trombotici da non giustificare un intervento farmacologico di prevenzione. Per tutti gli altri, la terapia anticoagulante orale costituisce l’intervento terapeutico più efficace. In termini di sicurezza, la disponibilità degli anticoagulanti orali diretti (inibitore della trombina e inibitori del fattore Xa), non inferiori rispetto agli antagonisti della vitamina K nella prevenzione degli eventi ischemici, ha consentito di avere una riduzione degli eventi emorragici, principalmente a carico cerebrale. Questi farmaci hanno il vantaggio di poter essere somministrati a dosaggio fisso, da regolare essenzialmente sulla funzione renale, senza richiedere un monitoraggio di laboratorio per l’aggiustamento della posologia. Tali caratteristiche li rendono estremamente più maneggevoli e più facilmente proponibili ad una fascia di pazienti che li deve impiegare in una strategia di prevenzione. Per tali motivi, al di là dei trial clinici che ne hanno consentito la registrazione, il loro impiego è sempre più esteso nel “mondo reale” e si stanno accumulando dati, in questo contesto, estremamente interessanti perché non filtrati dai criteri di inclusione ed esclusione tipici degli studi clinici. Non avremo probabilmente mai a disposizione degli studi di confronto testa-a–testa tra queste molecole, e solo i dati sulla fibrillazione atriale nel mondo reale, pur con i limiti di una mancata randomizzazione, consentiranno di guidarci in una scelta ragionata del farmaco più adatto al nostro singolo paziente.

mani-pianeta_360x360In seguito ai primi studi di confronto sulla fibrillazione atriale derivanti dal “mondo reale” già discussi in occasione dello speciale ESC 2015, al recente congresso AHA 2015 sono stati presentati nove nuovi studi con dati real world derivanti dall’analisi dei grandi database, prevalentemente assicurativi:

Optum Research Database (01/2103-12/2014) (Amin et al). Sono stati analizzati 36260 pazienti con fibrillazione atriale non valvolare (FANV) che iniziavano un trattamento anticoagulante (n=3762 con apixaban; n=2677 con dabigatran; n=8740 con rivaroxaban e n=21081 con warfarin). I pazienti trattati con apixaban, che presentavano un CHA2DS2-VASc score significativamente più elevato rispetto a quelli trattati con gli altri due anticoagulanti orali (4.2 vs 4.0) ma più basso rispetto a warfarin (4.2 vs 4.3), sono andati incontro ad un numero significativamente inferiore di sanguinamenti maggiori entro il primo anno di trattamento rispetto a rivaroxaban (HR 0.69; IC 95% 0.59-0.81) e warfarin (HR 0.71; IC 95% 0.61-0.82). Nessuna differenza nei sanguinamenti maggiori rispetto a dabigatran (HR 0.87; IC 95% 0.72-1.06). I costi associati a questi episodi di sanguinamento maggiore sono risultati significativamente inferiori per apixaban ($53) rispetto a rivaroxaban e warfarin ($111 and $138, rispettivamente) e simili a dabigatran ($44) (p=0.370).

MarketScan Database (01/2012-12/2013) (Lip et al). Scopo dell’analisi è stato quello di confrontare il rischio di un primo evento di sanguinamento (sia in paziente ricoverato che ambulatoriale, in corso di trattamento o entro 30 giorni dall’ultima distribuzione del farmaco) nei pazienti con FANV che hanno iniziato un trattamento anticoagulante orale: warfarin (n=12713) rispetto ad apixaban (n=4173), dabigatran (n=4173) o rivaroxaban (n=12713). Dopo analisi multivariata ed aggiustamento per le caratteristiche di base, a confronto con warfarin, i pazienti in apixaban (HR 0.62, p=0.0015) o dabigatran (HR 0.79, p=0.0179) avevano un rischio significativamente più basso di sanguinamento maggiore; i pazienti in rivaroxaban (HR 1.05, p=0.5112) avevano un rischio di sanguinamento maggiore simile a quelli in warfarin.

MarketScan commercial & Medicare supplemental database (01/2012-12/2013) (Kamble et al). Dati dal mondo reale sul rischio di un primo sanguinamento maggiore nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare (n=26.604) che iniziavano warfarin (n=12713), apixaban 5 mg bid (n=2057), dabigatran 150 mg bid (n=3768) o rivaroxaban 20 mg (n=8066). Dopo aggiustamento per le caratteristiche di base, a confronto con warfarin, i pazienti in apixaban avevano un rischio significativamente minore di sanguinamento maggiore (HR 0.53, p=0.0399); i pazienti in dabigatran (HR 0.82, p=0.2623) e rivaroxaban (HR 1.08, p=0.5248) avevano un rischio di sanguinamento maggiore simile a quelli in warfarin.

PharMetrics Plus (01/2012-09/2014) (Deitelweig et al). Confronto del rischio di sanguinamenti maggiori e di sanguinamenti non maggiori ma clinicamente rilevanti di 24573 pazienti che iniziavano un trattamento con apixaban (11.7%); dabigatran (12%); rivaroxaban (36.7%) o warfarin (39.6%). Dopo aggiustamento per le caratteristiche di base, i pazienti in rivaroxaban e warfarin avevano un rischio significativamente più elevato di avere un sanguinamento maggiore rispetto ad apixaban (HR 1.5; p=0.0013 per rivaroxaban e HR 1.7, p<0.0001 per warfarin). Il rischio di sanguinamenti maggiori non era, invece, differente fra apixaban e dabigatran. Rispetto ad apixaban, tutti gli altri farmaci erano associati ad un rischio più elevato di sanguinamenti maggiori non clinicamente rilevanti (dabigatran: HR 1.3; p=0.0030/rivaroxaban: HR 1.7, p<0.0001/warfarin: HR 1.4; p<0.0001). I costi associati a questi episodi erano significativamente più elevati per dabigatran, rivaroxaban e warfarin rispetto ad apixaban.

Humana Medicare Advantage (07/2009-09/2014) (Deitelweig et al). Valutazione dal mondo reale del rischio di ospedalizzazione in 53168 pazienti con fibrillazione atriale non valvolare che avevano iniziato un trattamento anticoagulante orale (n=2028 con apixaban, n=5644 con dabigatran, n=7667 con rivaroxaban e n=37829 con warfarin). I pazienti in dabigatran, rivaroxaban o warfarin avevano un rischio di ospedalizzazione per tutte le cause significativamente più elevato dei pazienti in apixaban (HR 1.64, p<0.0001 per dabigatran; HR 1.34, p<0.0001 per rivaroxaban e HR 1.32, p<0.0001 per warfarin). Rispetto ad apixaban, il rischio di ospedalizzazione per sanguinamento era significativamente più elevato nei pazienti in rivaroxaban (HR 1.64, p<0.0001) e warfarin (HR 1.54, p<0.0001) ed uguale nei pazienti in dabigatran (HR 1.03, p=0.7651).

Premiere Hospital (01/2012-02/2014) (Deitelweig et al). Valutazione del rischio di un nuovo, precoce (entro 1 mese) ricovero ospedaliero in pazienti con FANV ricoverati e trattati con apixaban (n=41385) dabigatran (n=37754) o rivaroxaban (n=32838). Dopo aggiustamento per le caratteristiche di base, al confronto con apixaban, la probabilità di nuovo ricovero entro 1 mese per tutte le cause o per sanguinamento, è stimata a 1.2 (p<0.001) e 1.4 (p<0.01) per rivaroxaban (posto 1.0 come uguale probabilità) e non significativamente differente per dabigatran (1.1, p=0.18 e 1.2 p=0.13, rispettivamente). Inoltre, a confronto con apixaban, l’uso di rivaroxaban è risultato associato ad una media di lunghezza di degenza ospedaliera significativamente più elevata: (0.25 giorni, p<0.001) ed un costo più elevato (($418, p<0.01).

La lunghezza del ricovero ed i costi di ospedalizzazione sono stati l’oggetto dell’analisi di confronto tra apixaban (n=2571) e warfarin (n=2571) sul database Premier Perspective Claims (01/2009-03/2014) (Xie et al). La lunghezza ed i costi del ricovero per pazienti con FANV trattati con apixaban sono risultati significativamente inferiori (lunghezza ricovero: mediana 3 giorni; costi: $11,115) rispetto a pazienti ricoverati con FANV e trattati con warfarin (lunghezza ricovero: mediana 4 giorni; costi: $13,483).

PharMetrics Plus database (01/2012 – 03/2014) (Bruno et al). Ospedalizzazione per tutte le cause in pazienti con FANV trattati con apixaban (15%), dabigatran (23.5%) o rivaroxaban (61.5%). Il trattamento con dabigatran (HR 1.37, IC 95% 1.1-1.69) e rivaroxaban (HR 1.57, IC 95% 1.3-1.9) è risultato associato con una frequenza maggiore di ospedalizzazione per tutte le cause rispetto ad apixaban.

Orbit-AF II (Steinberg et al). Registro statunitense di pazienti ambulatoriali con fibrillazione atriale che hanno iniziato una terapia con i nuovi anticoagulanti orali come prima scelta o dopo switch da warfarin. Scopo: valutazione incidenza, fattori associati e modalità di gestione dei sanguinamenti maggiori. Le frequenze dei sanguinamenti maggiori sono risultate sovrapponibili a quelle riportate nei trial clinici: 1.52% per warfarin; 1.81% per gli anticoagulanti orali diretti combinati (2.64% per dabigatran; 2.01% per rivaroxaban; 1.13% per apixaban). Sanguinamenti intracranici: 15% per warfarin; 5.6% per gli anticoagulanti orali diretti combinati. Di questi, sanguinamenti gastrointestinali: 40% per warfarin e 56% per gli anticoagulanti orali diretti combinati. Dei 90 sanguinamenti maggiori in corso di anticoagulanti orali diretti, solo uno è risultato fatale (1%): entro 30 giorni successivi al sanguinamento, non si sono verificati ictus ischemici.

I risultati di queste analisi, come tutte quelle che derivano dai grandi database assicurativi e non, sono limitati dai molti possibili bias di selezione perché i pazienti non sono stati randomizzati ed i gruppi di trattamento mostrano molte differenze nelle caratteristiche di base. Inoltre, ogni studio che utilizzi un database assicurativo è soggetto, per definizione, a potenziali errori di codifica ed errori legati ai dati mancanti. L’interpretazione di questi risultati va quindi effettuata con cautela.

Nonostante questo, globalmente, questi studi dal mondo reale hanno incluso dati di oltre 200000 pazienti con fibrillazione atriale non valvolare (più di 70000 in rivaroxaban; 45000 in dabigatran, più di 15.000 in apixaban e più di 80000 in warfarin): tutti i risultati sono concordi nel dimostrare un profilo di sicurezza migliore per apixaban rispetto a warfarin e rivaroxaban con un rischio di sanguinamento e di ospedalizzazione significativamente inferiori, e costi significativamente più bassi. Il confronto con dabigatran non mostra differenze significative in termini di rischio di sanguinamento maggiore, ma un rischio inferiore in rapporto ad ospedalizzazione e costi.

fibrillazione atriale mondo realeInoltre:

  • su 141198 pazienti dal Truven MarketScan EarlyView database, i motivi di un passaggio dal trattamento anticoagulante della FANV con warfarin ad un NAO sono risultati: la necessità di una cardioversione; la storia di ipertensione; un precedente ictus; la storia di sanguinamento; un più lungo trattamento con warfarin. I pazienti con età più avanzata e con maggiori comorbilità erano con più probabilità mantenuti in trattamento con warfarin.
  • dati dal MarketScan Earlyview database: I pazienti con FANV che iniziano la terapia con i dosaggi standard dei NAO hanno caratteristiche cliniche e demografiche migliori rispetto a quelli che iniziano con il dosaggio ridotto (più anziani, con maggior rischio di ictus; con precedenti sanguinamenti; maggior prevalenza di scompenso cardiaco, insufficienza renale e comorbilità). Ai pazienti che passano da un trattamento con warfarin ad apixaban, viene prescritta con maggior prevalenza la dose ridotta di 2.5 mg bid rispetto ai 5 mg bid. Più del 15% dei pazienti in apixaban e rivaroxaban, ma meno del 6% dei pazienti in dabigatran, iniziano la terapia dopo un precedente trattamento con warfarin.

Infine, sono state presentate alcune ulteriori sottoanalisi del trial ARISTOTLE:

  • Nel trial ARISTOTLE, le complicanze sia ischemiche che emorragiche, si sono verificate con più frequenza in pazienti trattati con un numero più elevato di farmaci concomitanti. I benefici di apixaban nella riduzione del rischio di ictus si sono mantenuti, indipendentemente dal numero di farmaci concomitanti. In termini di sicurezza e beneficio clinico netto, invece, l’entità del beneficio con apixaban rispetto a warfarin diminuisce con il numero di farmaci concomitanti.
  • 82 pazienti nel trial ARISTOTLE erano portatori di protesi valvolari biologiche (41 in apixaban/41 in warfarin): pochi eventi, sia ischemici che emorragici, sono stati registrati senza differenza significativa tra apixaban e warfarin (sanguinamenti maggiori: 4 in apixaban e 3 in warfarin; ictus ed embolismo sistemico: 2 in apixaban, 0 in warfarin; morte cardiovascolare: 1 in apixaban e 2 in warfarin; mortalità totale: 5 in apixaban e 5 in warfarin).
  • Nel trial ARISTOTLE si sono verificati 174 sanguinamenti intracranici (1.0%; 67.7% emorragie cerebrali; 30.7% ematomi subdurali; 15.3% emorragie subaracnoidee). Circa il 72% degli eventi era spontaneo. Il 40.8% dei pazienti è deceduto in ospedale. Apixaban è risultato superiore al warfarin nel causare meno emorragie intracraniche, in tutte le varie localizzazioni. I fattori associati al rischio di emorragia intracranica sono risultati: età più avanzata; il trattamento con warfarin; un precedente ictus; la regione geografica; e l’uso di aspirina alla randomizzazione.
  • 884 (4.9%) pazienti nel trial ARISTOTLE avevano arteriopatia periferica (PAD). Questi hanno dimostrato un rischio più elevato, ma non in maniera statisticamente significativa, di ictus/embolismo sistemico rispetto ai pazienti senza PAD. I benefici di apixaban rispetto a warfarin sull’incidenza di ictus e sulla mortalità da tutte le cause erano simili nei pazienti con e senza PAD. Invece, la riduzione del sanguinamento con apixaban rispetto a warfarin non era presente nei pazienti con PAD (HR 1.04, IC 95% 0.69-1.57), mentre si manteneva in quelli senza PAD (HR 0.66, IC 95% 0.59-0.73).

A cura di Rossella Marcucci, Centro Malattie Aterotrombotiche, Università di Firenze